QUICUMQUE VULT SALVUS ESSE, ANTE OMNIA OPUS EST, UT TENEAT CATHOLICAM FIDEM

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giovedì 31 maggio 2012

Cosa fare quando la terra trema?





da: Storia dei Papi Roma 1962 Vol. 15
Pagg. 375-379
(...) Perché anche disastri naturali della peggiore specie diffusero tra la popolazione angoscia e spavento. (...) I disastri dovevano essere per la città eterna solo il preludio di altri guai. La sera del 14 gennaio 1703 Roma venne scossa da un terremoto accompagnato da torrenti d'acque e da bufere. La scossa fu breve, ma molto violenta e le campane delle chiese suonarono da se.

Suonò anche Il campanello del tavolo del Papa che da quel momento sentiva Il rapporto del segretario dei memoriali. Clemente corse nella sua cappella dove si trovavano molti dei suoi familiari per confessarsi. Anche nelle altre chiese della città si radunarono a pregare molti cittadini di ogni classe. Il giorno seguente Il Papa scese due ore prima della levata del sole in San Pietro ove disse Messa in presenza di una grande folla. Poi convocò i cardinali in un concistoro e li esortò a placare l'ira di Dio con esercizi di penitenza.

In Roma dove persino edifici assai solidi mostravano delle crepe, lo spavento fu così grande che molti, nonostante le piogge, passavano le notti in capanne nella campagna o nelle carrozze. Giunse presto notizia dei gravi danni causati dal terremoto in molte località dello Stato Pontificio e specialmente in Norcia, Spoleto, Rieti ed Urbino.
Il Papa mandò colà copiosi aiuti. Nuove e minori scosse di terremoto seguirono quando il Papa il 16 gennaio si recò in Laterano, promulgò un'indulgenza e ordinò processioni rogatorie.

Oggi, scrive il conte Lamberg nel suo Diario, tutti sono confessati, hanno fatto digiuno e sono andati in San Pietro, una tale ressa non si è vista mai, nemmeno nell'Anno Santo. Le commedie e le mascherate del carnevale vennero proibite ed invece di questi blockertimenti Il Papa ordinò missioni popolari che furono assai frequentate.
Il terremoto, dice un contemporaneo, fu un grande predicatore. Il 26 di gennaio Clemente XI visitò le 4 chiese principali ed in San Pietro ascoltò egli stesso le confessioni.

Le processioni rogatorie che nei giorni seguenti attraversarono la città, furono ripetute anche dopo il 29, poiché vi potessero partecipare tutti. Per rimediare più completamente ai danni materiali il Papa istituì una congregazione speciale. Nel giorno della Purificazione di Maria Santissima ebbe luogo anche nella Sistina la solita benedizione dei ceri. Nel bel mezzo della cerimonia alle 9 del mattino si fece sentire il terremoto così violento che tutti i presenti scapparono.
Solo il Papa mantenne la sua calma e si prostrò ai piedi dell'altare. Di poi si recò a pregare nella Chiesa di San Pietro, benché si annunciasse che anche là avevano vacillato le colonne del tabernacolo berniniano ed erano caduti calcinacci dalla Cupola.

Nel pomeriggio egli visitò la Scala Santa presso il Vaticano. I danni cagionati dalla scossa di terremoto del 2 febbraio furono notevoli in tutta la città. Particolarmente dovette soffrire la chiesa di San Lorenzo. Del Colosseo crollarono tre archi del secondo anello e le pietre vennero usufruite per costruire il porto di Ripetta. Anche nella Basilica di San Pietro, nel Vaticano e nel Quirinale si rivelarono dei crepacci. Fontava calcolava le spese per le riparazioni necessarie in 700 mila scudi. Nella notte dal 2 al 3 febbraio i romani, già agitatissimi, furono presi di nuovo dalla grande paura.

FU fatta circolare dai ladri la voce in tutta la città che in due ore Roma perirebbe, ciò evidentemente alla scopo di far bottino durante il panico. Tutti fuggirono nei giardini e nelle pubbliche piazze. Indescrivibili scene si svolsero ovunque. Gli abitanti seminudi gridavano misericordia, si gettavano in ginocchio e attendevano pieni di costernazione l'ora della loro fine. Madri baciavano ancora una volta i loro bambini e coniugi ed amici si abbracciavano. Molti confessavano pubblicamente le loro colpe ed altri si confessavano sulle pubbliche vie. L'aria risuonava del grido: Santo Iddio abbi misericordia di noi.
Il Papa prese subito misure per tranquillizzare la popolazione e garantire la proprietà. Nello stesso tempo ordinò un inchiesta per stabilire gli autori della falsa diceria, ma non se ne seppe nulla. La popolazione si tranquillizzò soltanto lentamente. Molti per lungo tempo ancora dormivano all'aperto e nei giardini come fece il Cardinale Ottoboni ed altri nobili. Clemente XI non si limitò ad ordinare frequenti processioni rogatorie. Siccome egli vedeva nel terremoto un castigo per i peccati, prese una serie di provvedimenti onde elevare lo stato morale della sua capitale.

Tra l'altro ordinò l'osservanza del riposo domenicale e dei digiuni.
In un concistoro del 19 febbraio annunciò per il 22 una funzione di ringraziamento per la salvezza della città, stabili che d'ora innanzi nella festa della Purificazione venisse cantato annualmente nella Cappella papale il Te Deum ed anche il giorno prima venisse considerato di stretto digiuno. Quest'uso è mantenuto dai Romani ancora oggi.
Anche nel breviario venne inserita una preghiera contro i terremoti e più tardi, una consimile venne introdotta anche nella Messa.

Del resto il Papa fece fare anche delle osservazioni scientifiche per scoprire se fosse possibile prevedere i terremoti.
Mentre continuavano ancora le preghiere e le opere di penitenza, apparve che la terra non si era del tutto acquietata ed alla fine del marzo ed ai primi di aprile, avvennero di nuovo delle piccole scosse ed il 15 aprile si levò un grande ciclone ed il 24 maggio seguì una nuova scossa, la quale, benché fosse leggera, fece che molti fuggissero nella campagna.

La cronaca di Roma annuncia poi per il 10 ottobre uragani ed altre scosse di terremoto. Maggiori che nell'eterna città furono i danni apportati dal terremoto in altre parti dello Stato Pontificio, specialmente in Norcia, Foligno, Spoleto e L'Aquila. Il Papa mandò colà copiosi sussidi. L'apposita congregazione che egli aveva istituito fece mettere a disposizione della popolazione accampata all'aperto le tende delle guarnigioni di Castel Sant'Angelo e Civitavecchia.
Oltre al denaro vennero distribuiti anche dei viveri.
Spoleto che era stata particolarmente danneggiata fu anche oggetto di particolari provvedimenti ed il Governatore della città a ricordo della particolare generosità del Papa fece erigere una lapide. Anche a Norcia, Terni e Narni vennero inviate nello stesso anno notevoli somme di denaro in aiuto alla popolazione.

Nel novembre del 1705 e nell'aprile del 1706 si sentirono ancora a Roma delle scosse di terremoto. (...) Dopo che nel principio del 1711 si ebbero ancora alcune scosse di terremoto, Roma ne fu risparmiata. (...) Riflessi della guerra e dei disastri naturali si rispecchiano a loro volta nelle condizioni della popolazione dello Stato Pontificio.
All'avvento di Clemente, l'eterna città contava 149.477 abitanti, tenendo però conto che allora veniva celebrato l'Anno Santo, per cui come numero normale è meglio considerare quello dell'anno 1701 che ne portò 141.798. Fino al 1707 questo numero discese a 132.728 anche se crebbe poi lentamente per scendere poi ancora una volta. (...)


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da una Omelia di san Gregorio Magno Papa

5. - Ecco, fratelli miei, che già vediamo avverato quello che abbiamo udito! Il mondo è oppresso quotidianamente da nuovi mali che aumentano di giorno in giorno. Eravate numerosi; osservate ora quanto  pochi siete sopravvissuti! E, come se ciò non bastasse, nuovi flagelli ci affliggono, repentini infortuni ci piombano addosso,  nuove ed improvvise calamità ci colpiscono.
Nella giovinezza il corpo è vigoroso, il petto si mantiene forte e sano, eretto il busto, ed ampio il torace; nella vecchiaia  invece la statura si curva, il collo inaridito si ripiega, il petto diventa ansimante, la forza vien meno e l'affanno tronca le  parole di chi parla, e se anche non si è propriamente malati, da vecchi la salute stessa è spesso già una malattia. Similmente il  mondo nei primi suoi tempi ebbe un vigore come di giovinezza; fu robusto accogliendo il genere umano, verdeggiò di salute  corporale e fu opulento per l'abbondanza d'ogni cosa; ora invece  comincia a dare segnali di depressione, è segnato dalle  molestie che crescono. Non vogliate dunque, o fratelli, amare questo mondo che non è eterno. Richiamate alla mente il  
precetto apostolico con cui veniamo ammoniti: "Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l'amore del  Padre non è in lui;" (1Gv.2,15 Nolite diligere mundum neque ea, quae in mundo sunt. Si quis diligit mundum, non est caritas  Patris in eo;).


Solo l'altro giorno, o fratelli, avete appreso che, per un improvviso turbine, alberi secolari sono stati sradicati, case  distrutte, e chiese schiantate dalle fondamenta! Quanti erano che alla sera, sani ed incolumi, pensavano a quello che  avrebbero fatto il giorno seguente, ed invece in quella stessa notte sono deceduti improvvisamente, travolti nel vortice della  rovina?

6. - Dobbiamo pure considerare, o dilettissimi che, per compiere queste cose, il Giudice invisibile agitò il soffio di un vento  leggerissimo, eccitò la tempesta di una sola nuvola, e tuttavia ciò bastò a sconvolgere la terra ed a scuotere dalle fondamenta tanti edifici. Che cosa sarà dunque, quando questo Giudice verrà personalmente e la Sua ira divamperà per giudicare i  peccatori recidivi, se non possiamo già più sostenere ora che ci castiga per mezzo di una tenuissima nube? Quale mortale  potrà resistere, alla presenza dell'ira di Colui che, col solo agitare il vento, ha sconvolto la terra, ha turbato l'atmosfera e  divelti tanti edifici?
Paolo, considerando il rigore del Giudice venturo, ha scritto: "È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!" (Ebrei 10,31  Horrendum est incidere in manus Dei viventis.).
La stessa cosa esprime il Salmista dicendo: " Viene il nostro Dio e non sta in silenzio;davanti a lui un fuoco divorante, intorno  a lui si scatena la tempesta. Convoca il cielo dall'alto e la terra al giudizio del suo popolo " (Salmo 50, 3-4 3 Deus noster  veniet et non silebit: ignis consumens est in conspectu eius, et in circuitu eius tempestas valida. Advocabit caelum desursumet terram discernere populum suum:), il fuoco e la tempesta accompagnano il rigore di sì grande Giustizia, perchè la tempesta  colpisce ciò che il fuoco brucia.

Tenete presente, dunque, o fratelli carissimi, quel giorno, e troverete leggero, al suo confronto, tutto quello che ora vi  sembra grave.



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Preghiera e conversione sono la più efficace prevenzione contro ogni disastro...
dal Vangelo di Marco cap.4 
35 In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36 E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37 Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. 38 Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?». 39 Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. 40 Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». 41 E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».

mercoledì 16 maggio 2012

Mese mariano





Come convertire un figlio al Signore

Tu non disprezzi o Dio, il pianto d'una madre; tu ascolti la sua incessante preghiera. Monica di Tagaste era cristiana. Sposò Patrizio, uomo irascibile e pagano: il suo paziente e dolce affetto lo conquistò al Cristianesimo. Da lui ebbe tre figli, di cui il più famoso è Agostino: sua gioia e tormento. Lo seguì con materna comprensione nei suoi lunghi errori religiosi e morali; ebbe cura del nipotino Adeodato, nato ad Agostino da una convivenza illecita; lo convertì a Cristo a forza d'infinite lacrime e preghiere. Quando nella notte di Pasqua dell'anno 397, Ambrogio, vescovo di Milano, battezzò Agostino e lo accolse ufficialmente nella Chiesa, Monica fu invasa dalla più grande gioia: aveva generato il figlio due volte: una alla vita terrena e ora alla vita celeste. Dopo simile consolazione, che stare a fare ancora al mondo?

Lei e il figlio, prima del ritorno in Africa, appoggiati ad un balconcino di Ostia Tiberina, sotto la volta del cielo stellato, conversarono con grande dolcezza, dimentichi delle vicende passate, protesi verso il futuro di Dio. Monica disse al figlio: Agostino mio, questa vita ormai non ha più alcuna attrattiva per me. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c'era che mi faceva desiderare di restare quaggiù ancora per poco: vedere la tua conversione prima di morire. Ora che il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, ora che ti vedo addirittura pronto a rinunziare a tutto per servire Lui, che cosa faccio qui? Ti sarò più utile da lassù, avrai sempre le mie preghiere per te. Si mise a letto e dopo pochi giorni morì, gioiosa perché Dio non disprezza il pianto di una madre, anzi ne ascolta sempre l'incessante preghiera; ma soprattutto per aver guidato nel porto di Dio l'intera barca della sua famiglia.

(Da "Confessioni" - S. Agostino)



San Giovanni Bosco

Il piccolo Giovanni fu educato dalla madre alla devozione mariana.
La madre, Margherita Occhiena, si ispirava agli esempi della Madonna; viveva di preghiera, lavoro, di opere buone ed aveva consacrato Giovanni, alla madre di Dio, ancor prima della nascita.

Alla sera la famiglia si riuniva per la recita del Rosario e nella famiglia venivano riappacificati i cuori .
Le piccole mancanze e disobbedienze gli erano da lei fatte detestare come offese a Dio e alla Madonna
Quando Giovanni lascio' la famiglia per recarsi a Chieri per gli studi, la mamma gli affido' un prezioso viatico:

" Sii devoto alla Madonna e frequenta i compagni devoti di Maria".

Divenuto sacerdote è ancora la mamma che gli raccomandava con dolce insistenza:

"Diffondi la devozione a Maria".

L'eroica madre segui il figlio nel suo apostolato e divenne madre degli orfani raccolti nell'oratorio di Valdocco, ove rimase fino alla morte avvenuta il 25 novembre 1856.
nel 1860 Don Bosco vide la madre Margherita in una visione fugace, ma consolantissima:

- o madre, voi qui? ma non siete dunque morta?

-Sì, sono morta, ma vivo!

-Siete felice?

-Felicissima!

-In Paradiso?

-In paradiso, quantunque sia passata per le fiamme del purgatorio.

-Vi sono dei giovani nostri?

-Si,tanti- e ne nominò parecchi.

-E che cosa si gode da lassù?

-tu mi chiedi l'impossibile, perchè ciò che si gode lassù nessuno nè dire nè esprimere.
improvvisamente fu avviluppata da una luce di inesplicabile bellezza ed esclamando:

"Giovanni, ti aspetto per estare sempre uniti",

l'anima disparve nell'armonia di un canto di voci angeliche.



Va a render grazie alla Madonna

«Io ero presente racconta Monsignor Cagliero quando Don Bosco risanò, una giovane quattordicenne da paralisi di nascita. I parenti l'avevano portata sulle braccia e lasciata nella sala, in mezzo a più di duecento persone che aspettavano la benedizione del Servo di Dio e la liberazione dai loro mali. Don Bosco, dopo la S. Messa, animò la fanciulla a confidare nella Vergine Ausiliatrice, le diede la benedizione e le comandò di alzarsi. Esitava la fanciulla per timore di cadere, e i parenti la volevano aiutare, ma il Servo di Dio non lo permise dicendo: Essa non ha bisogno di aiuto; alzati e va' alla cappella a render grazie alla Madonna. Si alzò da sè, e camminò con un poco di stento, perché non aveva ancora imparato a camminare, e fu alla cappella, dove ringraziò il Signore con altri devoti che piangevano e lodavano il Signore, che così visibilmente esaltava il suo Servo. La vidi poi uscire dalla casa a piedi, e semplicemente appoggiata al braccio della madre.»

(Da "Vita di S. Giovanni Bosco" Vol. II - G. B. Lemoyne - SEI, Torino)

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Rosario e demonio


San Giovanni Bosco ebbe una visione, che poi raccontò ai suoi giovani. Vide in un prato un serpentaccio, lungo sette o otto metri e di una grossezza straordinaria. Inorridì a tale vista e voleva fuggire; ma un personaggio misterioso, che soleva guidarlo nelle visioni gli disse:

Non fugga; venga qui ed osservi!

Andò la guida a prendere una corda e disse a Don Bosco: Tenga questa corda per un capo, ma strettamente. Egli poi passò dall'altra parte del serpente, sollevò la corda e con questa diede una sferzata sulla schiena della bestiaccia.

Il serpente fece un salto, volgendo la testa per mordere, ma s'impigliò di più.

I capi della corda furono poi legati ad un albero e ad una inferriata.

Frattanto il serpente si dimenava e dava tali colpi in terra con la testa e con le spire, che lacerava le sue carni.

Così continuò finché morì e rimase solo lo scheletro.

Il personaggio misterioso raccolse la corda, ne fece un gomitolo e la pose in una cassetta; dopo riaprì la cassetta ed invitò Don Bosco a guardare.

La corda si era disposta in modo da formare le parole "Ave Maria".

Vedi, gli disse, il serpente raffigura il demonio e la corda l'Ave Maria o piuttosto raffigura il Rosario, che è una continuazione di Ave Maria.

Con questa preghiera si possono battere, vincere e distruggere tutti i demoni dell'Inferno.

Da "Maria Regina e Madre di Misericordia" - Don Giuseppe Tomaselli


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Rinunzierei a tutto ma non al rosario

Don Bosco chiamava il Rosario «la bancarotta del diavolo». Diceva: L'opera salesiana riposa sulla corona: da questa pratica nessuno può dispensarsi. Su questa recitazione quotidiana l'opera è fondata. Sono deciso ad abbandonare molte altre pratiche, ma non questa. Una volta Massimo d'Azeglio disse a don Bosco che era tempo di finirla di far recitare ogni giorno il Rosario ai suoi ragazzi e ai suoi educatori: non ci tengo affatto, sa, a questa anticaglia di cinquanta Ave Maria infilzate! E una pratica noiosa e del tutto inefficace per l'educazione. Io ci sto molto, invece, a tale pratica rispose il Santo e su di essa potrei dire che è fondata la mia istituzione: sarei disposto a lasciare piuttosto tante altre cose ben più importanti, ma non questa. Aggiunse poi. Se anche facesse d'uopo, rinunzierei alla sua preziosa amicizia, ma non mai alla recita del S. Rosario! Il biografo del Santo conclude: «Trovato don Bosco irremovibile nel suo principio, il nobiluomo se ne partì, e da quel giorno non ebbe più alcuna relazione con lui».

(Da "Esempi catechistici Jesus - Jesus rosarii" - Editrice domenicana italiana, Napoli)

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Don Bosco fu colui che fece acogliere dal Papa l'invocazione mariana: MARIA AUSILIATRICE, ora pro nobis!

domenica 6 maggio 2012

Supplica alla Madonna del Rosario

Supplica alla Madonna 
del Rosario di Pompei
(da recitarsi l'8 maggio e la prima domenica di ottobre a mezzogiorno)
testo originale della Supplica scritta dal beato Bartolo Longo

I. - O Augusta Regina delle vittorie, o Vergine sovrana del Paradiso, al cui nome potente si rallegrano i cieli e tremano per terrore gli abissi, o Regina gloriosa del Santissimo Rosario, noi tutti, avventurati figli vostri, che la bontà vostra ha prescelti in questo secolo ad innalzarvi un Tempio in Pompei, qui prostrati ai vostri piedi, in questo giorno solennissimo della festa dei novelli vostri trionfi sulla terra degl'idoli e dei demoni, effondiamo con lacrime gli affetti del nostro cuore, e con la confidenza di figli vi esponiamo le nostre miserie.
Deh! da quel trono di clemenza ove sedete Regina, volgete, o Maria, lo sguardo vostro pietoso verso di noi, su tutte le nostre famiglie, sull'Italia, sull'Europa, su tutta la Chiesa; e vi prenda compassione degli affanni in cui volgiamo e dei travagli che ne amareggiano la vita. Vedete, o Madre, quanti pericoli nell'anima e nel corpo ne circondano: quante calamità e afflizioni ne costringono! O Madre, trattenete il braccio della giustizia del vostro Figliuolo sdegnato e vincete colla clemenza il cuore dei peccatori: sono pur nostri fratelli e figli vostri, che costarono sangue al dolce Gesù, e trafitture di coltello al vostro sensibilissimo Cuore. Oggi mostratevi a tutti, qual siete, Regina di pace e di perdono.

Salve Regina.

II. - È vero, è vero che noi per primi, benché vostri figliuoli, coi peccati torniamo a crocifiggere in cuor nostro Gesù, e trafiggiamo novellamente il vostro Cuore. Sì, lo confessiamo, siamo meritevoli dei più aspri flagelli. Ma Voi ricordatevi che sulla vetta del Golgota raccoglieste le ultime stille di quel sangue divino e l'ultimo testamento del Redentore moribondo. E quel testamento di un Dio, suggellato col sangue di un Uomo-Dio, vi dichiarava Madre nostra, Madre dei peccatori. Voi, dunque, come nostra Madre, siete la nostra Avvocata, la nostra Speranza. E noi gementi stendiamo a Voi le mani supplichevoli, gridando: Misericordia!
Pietà vi prenda, o Madre buona, pietà di noi, delle anime nostre, delle nostre famiglie, dei nostri parenti, dei nostri amici, dei nostri fratelli estinti, e soprattutto dei nostri nemici, e di tanti che si dicono cristiani, e pur dilacerano il Cuore amabile del vostro Figliuolo. Pietà, deh! pietà oggi imploriamo per le nazioni traviate, per tutta l'Europa, per tutto il mondo, che torni pentito al cuor vostro. Misericordia per tutti, o Madre di Misericordia.

Salve Regina.

III. - Che vi costa, o Maria, l'esaudirci? Che vi costa il salvarci? Non ha Gesù riposto nelle vostre mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie? Voi sedete coronata Regina alla destra del vostro Figliuolo, circondata di gloria immortale su tutti i cori degli Angeli. Voi distendete il vostro dominio per quanto son distesi i cieli, e a Voi la terra e le creature tutte che in essa abitano sono soggette. Il vostro dominio si estende fino all'inferno, e Voi sola ci strappate dalle mani di Satana, o Maria.
Voi siete l'Onnipotente per grazia. Voi dunque potete salvarci. Che se dite di non volerci aiutare, perché figli ingrati ed immeritevoli della vostra protezione, diteci almeno a chi altri mai  dobbiamo ricorrere per essere liberati da tanti flagelli.
Ah, no! Il vostro Cuore di Madre non patirà di veder noi, vostri figli, perduti. Il Bambino che noi vediamo sulle vostre ginocchia, e la mistica corona che miriamo nella vostra mano, c'ispirano fiducia che noi saremo esauditi. E noi confidiamo pienamente in Voi, ci gettiamo ai vostri piedi, ci abbandoniamo come deboli figli tra le braccia della più tenera fra le madri, ed oggi stesso, sì, oggi da Voi aspettiamo le sospirate grazie.

Salve Regina.
Chiediamo la benedizione a Maria.
Un'ultima grazia noi ora vi chiediamo, o Regina, che non potete negarci in questo giorno solennissimo. Concedete a tutti noi l'amore vostro costante, e in modo speciale la vostra materna benedizione. No, non ci leveremo dai vostri piedi, non ci staccheremo dalle vostre ginocchia, finché non ci avrete benedetti.
Benedite, o Maria, in questo momento, il Sommo Pontefice. Ai prischi allori della vostra Corona, agli antichi trionfi del vostro Rosario, onde siete chiamata Regina delle vittorie, deh! aggiungete ancor questo, o Madre: concedete il trionfo alla Religione e la pace alla umana società. Benedite il nostro Vescovo, i Sacerdoti e particolarmente tutti coloro che zelano l'onore del vostro Santuario.
Benedite infine tutti gli Associati al vostro novello Tempio di Pompei, e quanti coltivano e promuovono la divozione al vostro Santo Rosario.
O Rosario benedetto di Maria; Catena dolce che ci rannodi a Dio; Vincolo di amore che ci unisci agli Angeli; Torre di salvezza negli assalti d'inferno; Porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più. Tu ci sarai conforto nell'ora di agonia; a te l'ultimo bacio della vita che si spegne. E l'ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome vostro soave, Regina del Rosario della Valle di Pompei, o Madre nostra cara, o unico Rifugio dei peccatori, o sovrana Consolatrice dei mesti. Siate ovunque benedetta, oggi e sempre, in terra e in cielo. Così sia.

Salve Regina.