Epistola: Fratres: Grátias ágimus Deo semper pro ómnibus vobis, memóriam vestri faciéntes in oratiónibus nostris sine intermissióne, mémores óperis fidei vestrae, et labóris, et caritátis, et sustinéntiae spei Dómini nostri Iesu Christi, ante Deum et Patrem nostrum: sciéntes, fratres, dilécti a Deo, electiónem vestram: quia Evangélium nostrum non fuit ad vos in sermóne tantum, sed et in virtúte, et in Spíritu Sancto, et in plenitúdine multa, sicut scitis quales fuérimus in vobis propter vos. Et vos imitatóres nostri facti estis, et Domini, excipiéntes verbum in tribulatióne multa, cum gáudio Spíritus Sancti: ita ut facti sitis forma ómnibus credéntibus in Macedónia et in Acháia. A vobis enim diffamátus est sermo Domini, non solum in Macedónia et in Acháia, sed et in omni loco fides vestra, quae est ad Deum, profécta est, ita ut non sit nobis necésse quidquam loqui. Ipsi enim de nobis annúntiant qualem intróitum habuérimus ad vos: et quómodo convérsi estis ad Deum a simulácris, servíre Deo vivo et vero, et exspectáre Fílium eius de coelis (quem suscitávit ex mórtuis) Iesum, qui erípuit nos ab ira ventúra.
Fratelli: Noi rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, facendo continuamente memoria di voi nelle nostre orazioni, ricordandoci, davanti a Dio e Padre nostro, dell'opera della vostra fede, dei sacrifizi della vostra carità e della ferma vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, sapendo, o fratelli da Dio amati, che siete degli eletti. Infatti il nostro Vangelo tra di voi non fu solo a parole, ma anche nelle virtù e nello Spirito Santo e in molto accertamento; voi del resto ben sapete quali siamo stati fra di voi per vostro bene. E voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore avendo ricevuto la Parola in mezzo a molte tribolazioni con la gioia dello Spirito Santo, fino a divenire modello a tutti i credenti nella Macedonia e nell'Acaia. Infatti da voi la parola di Dio si è divulgata, non solamente per la Macedonia e per l'Acaia, ma da per tutto si è propagata anche la fama della fede che voi avete in Dio, e tanto che non abbiamo bisogno di parlarne; perché la gente stessa parla di noi, raccontando in che modo siamo venuti da voi e per aspettare dai cieli il suo Figliolo, che egli ha risuscitato da morte, Gesù, il quale ci ha salvati, dall'ira ventura. (1Ts 1,2 10)
L'elogio che fa qui san Paolo della fedeltà dei cristiani di Tessalonica alla fede che avevano abbracciata, elogio che la Chiesa oggi ci pone nuovamente sotto gli occhi, sembra piuttosto un rimprovero per i cristiani dei nostri giorni. Quei neofiti, dediti ancora, la vigilia, al culto degli idoli, si erano lanciati con ardore nella via del cristianesimo, tanto da meritare l'ammirazione dell'Apostolo. Molte generazioni di cristiani ci hanno preceduti, siamo stati rigenerati fin dal nostro ingresso, in questa vita, abbiamo succhiato per così dire con il latte la dottrina di Gesù Cristo: e tuttavia la nostra fede è ben lontana dall'essere viva e i nostri costumi puri come quelli di quei primi fedeli. Tutto il loro impegno consisteva nel servire il Dio vivo e vero, e nell'attendere la venuta di Gesù Cristo; la nostra speranza è la stessa che faceva palpitare i loro cuori: perché dunque non imitiamo la generosa fede dei nostri antenati? Il fascino del presente ci seduce. L'incertezza di questo mondo passeggero ci è dunque ignota? E non abbiamo timore di trasmettere alle generazioni che ci seguiranno un cristianesimo fiacco e sterile ben diverso da quello che Gesù Cristo ha istituito, che gli Apostoli hanno predicato e che i pagani dei primi secoli abbracciarono a costo di qualunque sacrificio?
Vangelo: In illo témpore: Dixit Iesus turbis parábolam hanc: Símile est regnum coelórum grano sinápis, quod accípiens homo seminávit in agro suo: quod mínimum quídem est ómnibus semínibus: cum autem créverit, maius est ómnibus oléribus, et fit arbor, ita ut vólucres caeli véniant, et hábitent in ramis eius. Aliam parábolam locútus est eis: Símile est regnum coelórum ferménto, quod accéptum múlier abscóndit in farínae satis tribus, donec fermentátum est totum. Haec ómnia locútus est Iesus in parábolis ad turbas: et sine parábolis non loquebátur eis: ut implerétur quod dictum erat per Prophétam dicéntem: Apériam in parábolis os meum, eructábo abscóndita a constitutióne mundi.
In quel tempo: Gesù propose alle turbe questa parabola: È simile il regno dei cieli a un chicco di senapa che un uomo prese e seminò nel suo campo: esso è certamente il più piccolo dei semi, ma cresciuto che sia, è il maggiore di tutti gli erbaggi e diviene albero, tanto che gli uccelli del cielo vanno a posarsi tra i suoi rami. Disse loro un'altra parabola: Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina finché tutto fermenta. Tutte queste cose Gesù le disse alle turbe in parabole, e non parlava loro che in parabole, affinché s'adempisse quanto era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, manifesterò cose occulte fin dal principio del mondo. (Mt 13,31-35)
Nostro Signore ci presenta oggi due simboli molto espressivi della sua Chiesa, che è il suo regno e che ha inizio sulla terra per avere il compimento in cielo. Che cosa è quel grano di senapa, nascosto nell'oscurità del solco, nascosto ad ogni sguardo, e che riappare quindi come un germe appena percettibile ma che cresce sempre fino a diventare un albero? Non è forse la divina parola diffusa oscuramente nella terra di Giudea, soffocata per qualche istante dalla malizia degli uomini fino ad essere posta in un sepolcro, e che poi si leva vittoriosa e si estende presto su tutto il mondo? Non era passato ancora un secolo dalla morte del Salvatore, e già la sua Chiesa contava membri fedeli molto al di là dei confini dell'Impero romano. Da allora, ogni genere di tentativi è stato fatto per sradicare quel grande albero; la violenza, la potenza, la falsa sapienza vi hanno perso il proprio tempo. Tutto quello che hanno potuto fare è stato di strappare qualche ramo, che la linfa vigorosa dell'albero ha subito sostituito. Gli uccelli del cielo che vengono a cercare asilo e ombra sotto i suoi rami, sono - secondo l'interpretazione dei Padri - le anime che, attratte dalle cose eterne, aspirano ad un mondo migliore. Se siamo degni del nome di cristiani ameremo quell'albero, e non troveremo pace e sicurezza che sotto la sua ombra protettrice.
La donna di cui si parla nella seconda parabola, è la Chiesa, madre nostra. È essa che, ai primordi del cristianesimo, ha nascosto, come un lievito segreto e salutare, la divina dottrina nella massa dell'umanità. Le tre staia di farina che ha fatto lievitare per formarne un pane delizioso sono le tre grandi famiglie della specie umana, uscite dai tre figli di Noè e alle quali risalgono tutti gli uomini che abitano la terra. Amiamo questa madre, e benediciamo quel lievito celeste per il quale siamo diventati figli di Dio, diventando figli della Chiesa.
Orazione: Praesta, quaésumus, omnípotens Deus: ut, semper rationabília meditántes, quae tibi sunt plácita, et dictis exsequámur, et factis.
Fa', o Dio onnipotente, che noi, meditando sempre cose spirituali, compiamo con le parole e coi fatti ciò che ti è gradito.