QUICUMQUE VULT SALVUS ESSE, ANTE OMNIA OPUS EST, UT TENEAT CATHOLICAM FIDEM

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lunedì 27 settembre 2010

l'ora di meditazione: L'appareccchio alla morte di S. Alfonso Parte I


Vogliamo inaugurare questo spazio dedicato alla meditazione con una delle più sublimi opere scritte da S. Alfonso Maria de Liguori: ovvero
 L'apparecchio alla Morte


RITRATTO D'UN UOMO DA POCO TEMPO PASSATO ALL'ALTRA VITA
Pulvis es, et in pulverem reverteris (Gen 3,19)
PUNTO I
Considera che sei terra, ed in terra hai da ritornare. Ha da venire un giorno che hai da morire e da trovarti a marcire in una fossa, dove sarai coverto da' vermi. "Operimentum tuum erunt vermes" (Is 14,11). A tutti ha da toccare la stessa sorte, a nobili ed a plebei, a principi ed a vassalli. Uscita che sarà l'anima dal corpo con quell'ultima aperta di bocca, l'anima anderà alla sua eternità, e 'l corpo ha da ridursi in polvere. "Auferes spiritum eorum, et in pulverem revertentur" (Ps 103,29).
Immaginati di veder una persona, da cui poco fa sia spirata l'anima. Mira in quel cadavere, che ancora sta sul letto, il capo caduto sul petto: i capelli scarmigliati ed ancor bagnati dal sudor della morte: gli occhi incavati, le guance smunte, la faccia in color di cenere, la lingua e le labbra in color di ferro, il corpo freddo e pesante. Chi lo vede s'impallidisce e trema. Quanti alla vista di un parente o amico defunto hanno mutato vita e lasciato il mondo!
Maggior orrore dà poi il cadavere, quando principia a marcire. Non saranno passate ancora 24 ore ch'è morto quel giovine, e la puzza si fa sentire. Bisogna aprir le finestre e bruciar molto incenso, anzi procurare che presto si mandi alla chiesa, e si metta sotto terra, acciocché non ammorbi tutta la casa. E l'essere stato quel corpo d'un nobile, o d'un ricco non servirà che per mandare un fetore più intollerabile. "Gravius foetent divitum corpora", dice un autore.
Ecco dove è arrivato quel superbo, quel disonesto! Prima accolto e desiderato nelle conversazioni, ora diventato l'orrore e l'abbominio di chi lo vede. Ond'è che s'affrettano i parenti a farlo cacciar di casa, e si pagano i facchini, acciocché chiuso in una cassa lo portino a buttarlo in una sepoltura. Prima volava la fama del suo spirito, della sua garbatezza, delle sue belle maniere e delle sue lepidezze; ma tra poco ch'è morto, se ne perde la memoria. "Periit memoria eorum cum sonitu" (Ps 9,7).
Al sentir la nuova della sua morte altri dice: Costui si facea onore; altri: Ha lasciata bene accomodata la casa; altri se ne rammaricano, perché il defunto recava loro qualche utile; altri se ne rallegrano, perché la sua morte loro giova. Del resto, tra poco tempo da niuno più se ne parlerà. E sin dal principio i parenti più stretti non vogliono sentirne più parlare, affinché non si rinnovi loro la passione. Nelle visite di condoglienze si parla d'altro; e se taluno esce a parlar del defunto, dice il parente: Per carità non me lo nominate più.
Pensate che siccome voi avete fatto nella morte de' vostri amici e congiunti, così gli altri faranno di voi. Entrano i vivi a far comparsa nella scena e ad occupare i beni e i posti de' morti; e de' morti niente o poco si fa più stima o menzione. I parenti a principio resteranno afflitti per qualche giorno, ma tra poco si consoleranno con quella porzione di robe, che sarà loro toccata; sicché tra poco più presto si rallegreranno della vostra morte; e in quella medesima stanza, dove voi avrete spirata l'anima, e sarete stato giudicato da Gesù Cristo, si ballerà, si mangerà, si giuocherà e riderà come prima; e l'anima vostra dove allora starà?
PUNTO II
Ma per meglio vedere quel che sei, cristiano mio, dice S. Gio. Grisostomo: "Perge ad sepulcrum, contemplare pulverem, cineres, vermes, et suspira". Mira come quel cadavere prima diventa giallo e poi nero. Dopo si fa vedere su tutto il corpo una lanugine bianca e schifosa. Indi scaturisce un marciume viscoso e puzzolente, che cola per terra. In quella marcia si genera poi una gran turba di vermi, che si nutriscono delle stesse carni. S'aggiungono i topi a far pasto su quel corpo, altri girando da fuori, altri entrando nella bocca e nelle viscere. Cadono a pezzi le guance, le labbra e i capelli; le coste son le prime a spolparsi, poi le braccia e le gambe. I vermi dopo aversi consumato tutte le carni, si consumano da loro stessi; e finalmente di quel corpo non resta che un fetente scheletro, che col tempo si divide, separandosi l'ossa, e cadendo il capo dal busto. "Redacta quasi in favillam aestivae areae, quae rapta sunt vento" (Dan 2,35). Ecco che cosa è l'uomo, è un poco di polvere, che in un'aia è portata dal vento.
Ecco quel cavaliere, ch'era chiamato lo spasso, l'anima della conversazione, dov'è? Entrate nella sua stanza, non v'è più. Se ricercate il suo letto, si è dato ad altri; se le sue vesti, le sue armi, altri già se l'han prese e divise. Se volete vederlo, affacciatevi a quella fossa, dov'è mutato in succidume ed ossa spolpate. Oh Dio quel corpo nutrito con tante delizie, vestito con tanta pompa, corteggiato da tanti servi, a questo si è ridotto? O santi, voi l'intendeste, che per amore di quel Dio che solo amaste in questa terra, sapeste mortificare i vostri corpi, ed ora le vostre ossa son tenute e pregiate come reliquie sacre tra gli ori, e le vostre belle anime godono Dio, aspettando il giorno finale, in cui verranno anche i vostri corpi per esser compagni della gloria, come sono stati della croce in questa vita. Questo è il vero amore al corpo, caricarlo qui di strazi, acciocché in eterno sia felice; e negargli quei piaceri, che lo renderanno infelice in eterno.
PUNTO III
Fratello mio, in questo ritratto della morte vedi te stesso, e quello che hai da diventare. "Memento, quia pulvis es, et in pulverem reverteris". Pensa che tra pochi anni, e forse tra mesi o giorni diventerai putredine e vermi. Giobbe con questo pensiero si fece santo: "Putredini dixi, pater meus es tu, mater mea et soror mea vermibus" (Iob 17,14).
Tutto ha da finire; e se l'anima tua in morte si perderà, tutto sarà perduto per te. "Considera te iam mortuum", dice S. Lorenzo Giustiniani, "quem scis de necessitate moriturum". Se tu fossi già morto, che non desidereresti di aver fatto per Dio? Ora che sei vivo, pensa che un giorno hai da trovarti morto. Dice S. Bonaventura che il nocchiero per ben governar la nave, si mette alla coda di quella; così l'uomo per menar buona vita, dee immaginarsi sempre come stesse in morte. Di là, dice S. Bernardo: "Vide prima et erubesce", guarda i peccati della gioventù, ed abbine rossore: "Vide media, et ingemisce", guarda i peccati della virilità, e piangi: "Vide novissima, et contremisce", guarda gli ultimi presenti sconcerti della tua vita, e trema, e presto rimedia.
S. Camillo de Lellis, quando si affacciava sulle fosse de' morti, dicea tra sé: Se questi tornassero a vivere, che non farebbero per la vita eterna? ed io che ho tempo, che fo per l'anima? Ma ciò lo dicea questo Santo per umiltà. Ma voi, fratello mio, forse con ragione potete temere d'essere quel fico senza frutto, di cui diceva il Signore: "Ecce anni tres sunt, ex quo venio quaerens fructum in ficulnea hac, et non invenio" (Luc 13,7). Voi più che da tre anni state nel mondo, che frutto avete dato? Vedete, dice S. Bernardo, che il Signore non solo cerca fiori, ma vuole anche frutti, cioè non solo buoni desideri e propositi, ma vuole anche opere sante. Sappiate dunque avvalervi di questo tempo, che Dio vi dà per sua misericordia; non aspettate a desiderare il tempo di far bene, quando non sarà più tempo, e vi sarà detto: "Tempus non erit amplius: Proficiscere", presto, ora è tempo di partire da questo mondo, presto, quel ch'è fatto è fatto.


domenica 19 settembre 2010

La Santa Messa spiegata ai fanciulli. VI parte




6. Offerta dei pani
Si legge nella Sacra Scrittura che una volta il re Melchisedech, che era Sacerdote dell’Altissimo, andò incontro ad Abramo, dopo che questi aveva riportato una grande vittoria sopra i suoi nemici, ed offrì al Signore, in ringraziamento, pane e vino.
Questo fatto ci fa conoscere come fin dai tempi antichissimi vi fu il costume di offrire al Signore pane e vino, in riconoscimento del suo supremo dominio sopra tutte le creature.
Infatti nel tabernacolo costruito da Mosè nel deserto, e poi anche nel tempio di Gerusalemme, i Sacerdoti offrivano a Dio, sulla mensa d’oro, dodici pani, che si chiamavano i pani della oposizione (fig. 6). I pani erano fatti con fior di farina, senza lievito, e pesavano tredici libbre ciascuno.



Figura 6: I Sacerdoti offrivano a Dio, sulla mensa d’oro, dodici pani.


I pani rimanevano sulla mensa d’oro per una intera settimana e, ogni sabato, si toglievano i vecchi e si mettevano i nuovi. I pani che si toglievano dalla mensa del Signore, essendo diventati cosa sacra, potevano essere mangiati soltanto dai sacerdoti.
La mensa dei pani era fatta di legno di setim, ricoperto di lamine d’oro; ed aveva intorno una cornice con fregi d’oro. Due bastoni d’oro, ai lati, servivano a trasportar la mensa durante il viaggio nel deserto, dopo l’uscita del popolo d’Israele dall’Egitto, Sulla stessa mensa si offriva al Signore anche il vino e l’incenso.
Quei pani, che si tenevano continuamente sulla mensa del Signore, davanti al tabernacolo, come un perenne sacrificio, simboleggiavano assai bene l’Ostia Santa, che tutti i giorni si consacra adesso sui nostri altari, nella quale Gesù Cristo si offre perennemente al Padre suo, come Vittima sacrificata per la nostra salvezza.





mercoledì 15 settembre 2010

Pensieri e coincidenze


Precisiamo fin da subito che questo breve intervento non pretende di avanzare alcuna ipotesi rigorosa, ma solo essere condivisione di una breve riflessione.
Il nostro Santo Padre è un pastore attento e, assieme, un grande teologo: è possibile dunque riscontrare anche al di fuori di elementi prettamente "politici" le ragioni della scelta del 14 Settembre per l'emanazione del Motu proprio?

La Festa dell'Esaltazione della Santa Croce ci evoca immantinente due diversi pensieri:

- l'idea della centralità della Croce, nel mondo, nella Liturgia, in senso lato nella realtà tanto cara alla Verità cattolica: basti pensare al motto certosino "Stat Crux dum volvitur orbis".

- l'idea dell'innalzamento (exaltatio) della Croce "al di sopra" dell'umanità, essendo il Sacrificio della Croce con il quale Cristo ha redento l'umanità indubitabilmente Santo, sovrannaturale e degno di adorazione, avvenuto una volta in modo cruento sulla Croce e sempre in modo incruento sugli altari nella Sante Messe cattoliche (semel et semper) sempre unico e identico, come unica è la fede e unica è la Chiesa.

A latere sottolineiamo come derivazione diretta di queste due idee siano il principio della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo e quello della Croce come fine e speranza dell'umanità che anela alla Riconciliazione definitiva con Cristo che, per mezzo della Croce stessa, ci ha redenti: questi due punti sono magnificamente compendiati nel noto Inno "Vexilla Regis" (che questa settimana potete udire in sottofondo) ove dice "Regnavit a ligno Deus" e poi "O Crux, ave spes unica".

Tornando alle idee principali e al senso profondo dell'emanazione del Motu proprio in tale ricorrenza, possiamo notare facilmente che esse idee sono evidentemente, precipuamente e massimamente significate e presenti nel venerabile rito tradizionale:

- centralità: chi potrebbe non notare che il crocifisso al centro dell'altare e in alto è il fulcro della celebrazione e lo sguardo del fedele è continuamente attratto da esso, specialmente quando, proprio sotto lo stesso, al centro dell'altare, si rinnova incruentemente il Sacrificio? E chi metterebbe in dubbio che questo è, senza dubbio, un grande pregio della forma tradizionale rispetto a tante celebrazioni odierne dove vediamo il crocifisso messo da qualche parte in presbiterio totalmente privato della sua posizione preminente, quasi declassato al livello di una qualunque immagine votiva e parallelamente alla perdita del senso della natura sacrificale della Santa Messa nel popolo cattolico?

- innalzamento: è ormai acquisito che una delle conseguenze più gravi degli smarrimenti intervenuti, negli ultimi tempi, nel popolo cattolico è il cosiddetto "antropocentrismo", ovvero il mettere l'uomo al centro e al di sopra di tutto, l'uomo con i suoi gusti, le sue esigenze (in particolare quelle radicate nei più vari e irragionevoli desideri) affidando tutto alla sua "autodeterminazione" rispetto a se stesso e al suo "arbitrio" riguardo al resto, anche alle cose più Sante come la Dottrina e, eccoci al punto, la Liturgia.

Il rito Tradizionale, con la sua verticalità e il suo indiscutibile Teocentrismo, è certamente un antidoto contro tale deriva ed esprime in modo unico la maestà di Dio, rifugge il pressapochismo e la confusione nonché il protagonismo dell'uomo (celebrante o chicchesia, purchè dotato del fatidico microfono) a cui troppo spesso ci capita di assistere al di fuori di tale rito.

Ci permettiamo di notare in conclusione che ieri, Festività dei Sette Dolori della Beata Vergine, che la Liturgia saggiamente accosta alla Festività dell'Esaltazione della Santa Croce, ci è anche stata data occasione di riflettere sul nostro ruolo di fedeli nella Santa Messa.

Noi, che stiamo ai piedi dell'altare nella Santa Messa, occupiamo la posizione della Vergine ai piedi della Croce: è lei che ci viene posta a modello perfetto che ci dobbiamo sforzare di imitare nella contemplazione e nella devozione come ci ricorda la bellissima Sequenza che sotto riportiamo.

Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius.


Cuius ánimam geméntem,

contristátam et doléntem

pertransívit gládius.


O quam tristis et afflícta

fuit illa benedícta

Mater Unigéniti !


Quae moerébat et dolébat,

pia mater, cum vidébat

nati poenas íncliti.


Quis est homo, qui non fleret,

Christi Matrem si vidéret

in tanto supplício?


Quis non posset contristári,

piam Matrem contemplári

doléntem cum Filio ?


Pro peccátis suae gentis

vidit Jesum in torméntis

et flagéllis subditum.


Vidit suum dulcem natum

moriéntem desolátum,

dum emísit spíritum.


Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris

fac, ut tecum lúgeam.


Fac, ut árdeat cor meum

in amándo Christum Deum,

ut sibi compláceam.


Sancta Mater, istud agas,

crucifíxi fige plagas

cordi meo válide.


Tui Nati vulneráti,

tam dignáti pro me pati,

poenas mecum dívide.


Fac me vere tecum flere,

Crucifíxo condolére

donec ego víxero.


Iuxta crucem tecum stare,

te libenter sociáre

in planctu desídero.


Virgo vírginum praeclára,

mihi iam non sis amára,

fac me tecum plángere.


Fac, ut portem Christi mortem,

passiónis fac me sortem

et plagas recólere.


Fac me plagis vulnerári,

cruce hac inebriári

et cruóre Fílii.


Flammis urar ne succénsus,

per te, Virgo, sim defénsus

in die iudícii.


Fac me cruce custodíri

morte Christi praemuníri,

confovéri grátia.


Quando corpus moriétur,

fac, ut ánimae donétur

paradísi glória. Amen



Stava immersa in doglia e in pianto
La pia Madre al Legno accanto
Mentre il Figlio agonizzò.

Di Maria l’anima afflitta,
5Gemebonda, derelitta,
Una spada trapassò.

Come trista ed infelice
Fu la santa Genitrice
De l’unìgeno Figliuol!

10Oh quai gemiti traea
Quando aggiunta in Lui vedea
Pena a pena, e duolo a duol!

Qual crudel mirar potria
Tanta ambascia di Maria
15Senza lagrime e sospir?

Chi potria con fermo ciglio
Contemplar la Madre e il Figlio
A un medesimo martir?

Per gli error di noi rubelli
20Star Gesù sotto i flagelli,
Fra’ tormenti vide star;

Vide il Figlio suo diletto,
Lacerato il molle petto,
L’egro spirito esalar.

25O Maria, fonte d’amore,
Provar fammi il tuo dolore,
Fammi piangere con te.

Fa che accendasi il cor mio,
Ch’arda tutto de l’Uom Dio,
30Tal che pago Ei sia di me.

De le man, del sen, de’ piedi
Tu le piaghe a me concedi,
Tu le stampa in questo cor.

Del tuo Figlio, che il mio bene
35Ricomprò per tante pene,
Fammi parte nel dolor.

Io sia teco, o Madre, afflitto;
Io con Cristo sia trafitto
Sino a l’ultimo mio dì.

40Starmi sempre io con te voglio,
Tuo compagno nel cordoglio,
Presso al tronco ov’Ei morì.

Fra le Vergini o preclara,
Non mostrarti al prego avara,
45Fammi teco lacrimar.

Di Gesù fa mia la sorte,
Fa ch’io senta in me sua morte,
Di sua morte al rimembrar.

Dona a me lo strazio atroce
50M’innamora de la Croce
E del sangue di Gesù.

Come a noi verrà l’Eterno
Giudicante, de l’inferno
Scampo al foco mi sii Tu.

55E tu, Cristo, per mercede
Di Colei che invan non chiede,
Volgi pio lo sguardo a me.

Quando il corpo egro si muoja,
Ne la gloria, ne la gioja
60Venga l’anima con Te.

martedì 14 settembre 2010

A TRE ANNI DAL MOTU PROPRIO


Sono passati tre anni da quanto il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto dono alla Chiesa Universale del Motu proprio "Summorum pontificum cura".
Il 14 Settembre 2007 è una data che segna uno spartiacque nell'esperienza di tutti coloro che, in diversi modi, sono interessati da questa Forma, così venerabile, del Romano Rito.
Per alcuni esso significò un agognato traguardo: in particolare per coloro che tanti anni, già dai tempi delle concessioni del Santo Padre Giovanni Paolo II di venerata memoria, hanno seguito il Rito tradizionale spesso additati come "disobbedienti" e in non totale sintonia con la madre Chiesa.
Per altri una svolta di tranquillità: chi coltivava un interesse e lo teneva celato per paura di cadere nei suddetti luoghi comuni si è sentito più tranquillo anche perché, in un modo o nell'altro, l'atto del Santo Padre venne portato alla generale attenzione per alcuni giorni dai giornali. Essi, tutti ricordiamo, pur fornendo un'informazione piena di imprecisioni e di confusioni tra lingua, posizione del celebrante e rito, indegna di molti che, chiamandosi giornalisti "professionisti" dovrebbero documentarsi su quanto scrivono, finirono in un modo o nell'altro per far entrare il motu proprio nei discorsi della gente.
Vi è infine un non piccolo numero, specie di giovani, fra cui si possono umilmente annoverare anche i curatori di questo blog, che proprio dall'atto pontificio hanno tratto la "prima curiosità" verso questo Rito e hanno scoperto un tesoro destinato ad arricchire in modo impensato e a segnare per sempre la propria spiritualità. I modi in cui questo avvenga possono essere discussi: per contribuire alla riflessione abbiamo pubblicato un'omelia del nostro cappellano qualche giorno fa in preparazione alla ricorrenza e ora pubblichiamo (vedi sotto) la Sua postfazione al noto manuale per servire la Santa Messa "INTROIBO AD ALTARE DEI", sempre sulla stessa linea di pensiero, in cui potremmo dire compendiata la stessa omelia.

Non possiamo tuttavia fare a meno di dire, per concludere, che il Motu proprio quale fonte di speranze, a volte a riservato anche delle delusioni per la scarsa prontezza e la diffidenza di alcuni pastori verso il Rito tradizionale, causa di una non pronta ricezione della volontà pontificia che ancora oggi purtroppo causa sofferenza ad alcuni gruppi di fedeli e alla Chiesa tutta.
Tutto ciò fa un impressionante contrasto con la solerzia con la quale il Revendissimo Patriarca di Venezia, il Signor Cardinale Angelo Scola, ha provveduto a offrire al suo gregge la Messa tradizionale, andando poi, con quel mirabile positivo superamento del disegno umano che solo la Divina Provvidenza può operare, ben oltre i confini del Patriarcato stesso, come la eterogenea e arricchente diversità di provenienza dei fedeli.
Non tralasciamo di pregare perché tutti coloro che desiderino partecipare alla Messa tradizionale lo possano fare serenamente e che cessino tutte le incomprensioni che ancora ostano una piena e fruttuosa applicazione del Motu Proprio.

Gregorius


***
di Padre Konrad zu Loewenstein, da "Introibo ad Altare Dei",
La Santa messa è il Santo Sacrificio del Calvario reso presente in modo incruento sull'altare. Il sacerdote è lo stesso, Gesù Cristo: in fatti, il celebrante agisce in persona Christi. La vittima è la stessa, ossia Gesù Cristo sotto l'apparenza del pane e del vino, che al momento della consacrazione si trasformano sostanzialmente nel Corpo e nel Sangue della seconda persona della SS. Trinità. Lo stesso Sacerdote, la stessa Vittima, lo stesso Sacrificio. Perciò non c'è ne ci sarà mai niente di più grande ne di più glorioso sulla terra della Santa Messa, nella quale Nostro Signore Gesù Cristo, a cui sia sempre ogni lode, onore e gloria, si immola per la salvezza del mondo.

Ora, il Rito Romano antico Ripresenta questo Sacrificio in modo Sublime, in quanto il celebrante lo offre su un altare elevato - simbolo del calvario - e lo offre al Padre volto l Crocifisso, ch'è lo stesso Dio che ha assunto la nostra povera carne, ed al Tabernacolo che contiene Dio sotto le specie eucaristiche; in quanto canta o recita in una lingua sacra i testi che hanno santificato nazioni e popoli interi per duemila anni; in quanto i numerosi segni di Croce, gl'inchini, le genuflessioni e tutti i gesti rituali esprimono e richiedono il debito raccoglimento, la riverenza, la pietà e la devozione dei presenti, mentre in mezzo a noi la realtà eterna, per la misericordia infinita di Dio, prende forma attualizzandosi. E l'altare, le candele, il santuario, l'ora e il giorno scompaiono, e noi misticamente ci troviamo di nuovo alle tre del pomeriggio sull'altura del Golgota: il sole eclissato, il cielo oscurato, la terra scossa, mentre il prezziosissimo Sangue sgorga dalle ferite adorabili e sacratissime del Salvatore per scorrer giù per il legno della Croce sulle teste di noi miseri peccatori!

Che Iddio ricompensi abbondantemente il Santo padre Benedetto XVI per la liberalizzazione di questo venerando Rito, che è senza dubbio alcuno, il più eletto dei doni ch'Egli avrebbe potuto elargire alla Chiesa.




ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Come l'apparizione della Santa Croce a Costantino, e la scoperta del sacro legno fatta da s.Elena diede occasione alla festa dell'invenzione della Santa Croce che però non si rese universale fino al 720, così il riacquisto di si santo strumento, fatto da Eraclio diede nuovo lustro alla festa dell'Esaltazione, che già si celebrava dai greci e dai Latini nel sesto secolo e anche nel quinto.

Corsoe II, re di Persia, sotto pretesto di vendicare l'imperatore Maurizio, trucidato da Foca, si mosse con grande esercito contro quest'ultimo, e in poco tempo si impadronì della Siria e dell Palestina, mettendo a fuoco e a sangue tutto l'oriente.

Eraclio, figlio del governatore dell'Africa, animato dai voti del popolo che stufo della tirannia di Foca, lo proclamava imperatore, approda con un armata navale a Costantinopoli, ove sconfisse le truppe nemiche, e, impadronitosi del tiranno, gli fece troncare la testa. Non ottenne appena questa vittoria che cercò di fare la pace con Corsoe, affinchè senza spargere altro sangue, si ritirasse nei propri stati, cioè nel regno di Persia. Corsoe, superbo delle prime conquiste, rifiutò ogni condizione, fece nuove scorrerie, strinse d'assedio Gerusalemme, e presala nell'anno 625, portò seco nella Persia, coi principali della città e il vescovo Zaccaria, i più preziosi tesori che vi poté trovare, e fra questi la Vera Croce su cui era morto il Salvatore. Allora Eraclio risolvette di farla finita; e confidando nella protezione del cielo, partì colle sue truppe per la Persia. La marca fu un continuo trionfo e sconfitti tutti i persiani che d'allora in poi non riacquistarono più il loro primitivo splendore, costrinse alla fuga il loro re, che fu poi fatto morire dal proprio figlio Siroe, com'egli a colpi di bastone aveva fatto morire il proprio padre Ormisda. Debellati così tutti i nemici, Eraclio cedette alle istanze di Siroe che domandava la pace; e la prima condizione che gli impose fu quella di restituire tutto quello che Corsoe aveva rubato in Palestina, e specialmente la Santa Croce. Fu allora che questa nel 628, fu portata trionfalmente , fra le acclamazioni e gli ossequi di tutto il popolo a Costantinopoli. L'anno seguente, l'imperatore si imbarcò per portarla in Gerusalemme. E giuntovi feliceente, la volle portare egli stesso nel tempio fabbricat da Costantino sopra il calvario. Ma arrivato alla porta che serve di introduzione al sacro monte, si sentì impediti i suoi passi a una forza invisibile e irresistibile. Allora, il patriarca Zaccaria che lo accompagnava, lo avvisò che ciò proveniva dall'essere egli vestito pomposamente, e quindi in modo non proprio nell'imitar Gesù Cristo nel portare la croce. Depose subito l'imperatore le regie insegne; si vestì di abito penitenziale, e trovò di procedere liberamente, come procedette di fatto al compimento i propri voti. E così fu la Santa Croce nel 629 riposta per mano di Eraclio in quel luogo medesimo da cui 14 ai prima era stata rubata da Corsoe. Siccome ciò avvenne il 14 settembre, in cui molti eran soliti festeggiare la Santa Croce, fu così universalmente stabilita in tal giorno l solennità della sua Esaltazione.





domenica 12 settembre 2010

La Santa Messa spiegata ai fanciulli. V parte

5. I sacrifici nella legge ebraica


Quando il Signore diede a Mosè, sul monte Sinai, i dieci Comandamenti, gli spiegò anche il modo con cui i Sacerdoti dovevano offrirgli le varie specie di sacrifici. E Mosè sceso dal monte, mise subito in esecuzione quello che il Signore gli aveva comandato: costruì il tabernacolo e l'altare; e, sull'altare, i Sacerdoti incominciarono ad offrire i sacrifici, con tutte le regole e le cerimonie ordinate da Dio. Si distinguevano due specie di sacrifici: cruenti ed incruenti. Sacrifici cruenti erano quelli nei quali si spargeva il sangue della vittima.
Incruenti erano quelli nei quali non si spargeva il sangue; questi consistevano in offerte di animali, che si uccidevano, se ne spargeva il sangue sull'altare, e poi si bruciavano in onore di Dio. I sacrifici cruenti erano di tre specie:
1) Olocausto. In questo sacrificio la vittima, dopo averla uccisa, si lasciava bruciare tutta sul fuoco, per riconoscere il supremo ed assoluto dominio di Dio sopra tutte le creature.
2) Propiziatorio. In questo sacrificio la vittima si divideva in due parti; una parte si bruciava in onore di Dio e un'altra parte la prendeva il sacerdote. Si chiamava anche sacrificio espiatorio, perché serviva ad implorare da Dio il perdono dei peccati.
3) Ostia pacifica. Questo sacrificio serviva a ringraziare il Signore per i benefici ricevuti e ad implorare nuove grazie. La vittima si divideva in tre parti: una parte si bruciava, un'altra parte la prendeva il sacerdote, e un'altra parte la prendeva la persona stessa che aveva fatto l'offerta, per mangiarla insieme agli amici, davanti all'altare.
I sacerdoti, secondo l'ordine dato da Dio a Mosè, offrivano tutti i giorni, sull'altare degli olocausti, due agnelli, uno la mattina ed uno la sera. E, in alcune solennità principali dell'anno, i Sacerdoti offrivano altri sacrifici di buoi, vacche, capri, pecore, agnelli, ecc.
Il Sommo Sacerdote, una volta l'anno, nel giorno della grande espiazione, offriva in sacrificio un toro, una vacca rossa e un capro, oltre gli agnelli di ogni giorno (fig. 5); e poi, tenendo in mano il turibolo fumicante d'incenso, entrava nella parte più segreta del tempio (che si chiamava Sancta Sanctorum) per offrire l'incenso e per pronunziare il santo Nome di Dio, che a lui solo era permesso di pronunziare una volta all'anno.



Figura 5: Il Sommo Sacerdote, nel giorno della grande espiazione, offriva un toro, una vacca rossa, un capro, due agnelli…


Ma oltre a questi sacrifici comandati da Dio per tutti i giorni e per le varie solennità dell'anno, moltissimi altri sacrifici offrivano al Signore i sacerdoti, con le vittime che erano offerte dal popolo.
I Sacerdoti avevano l’obbligo strettissimo di mantenere il fuoco sacro acceso sull’altare continuamente, giorno e notte; e guai al Sacerdote che l’avesse lasciato spegnere!
Sarebbe stato inesorabilmente messo a morte.
Altro dovere dei Sacerdoti era quello di suonare le trombe per invitare il popolo intorno all’altare nell’ora del Sacrificio. E il suono delle trombe si continuava talvolta anche per tutto il tempo che durava il Sacrificio.
Qui si deve osservare una cosa. L’animale che veniva offerto a Dio in sacrificio si chiamava vittima, e si chiamava anche ostia. Per noi adesso la parola ostia significa una sottilissima sfoglia fatta con farina ed acqua, che serve per vari usi, ma specialmente per il SS. Sacramento dell’Eucarestia.
Perché questa piccola sfoglia di pane senza lievito ha preso lo stesso nome che avevano
anticamente le vittime, che si offrivano sull’altare in onore di Dio? Appunto perché nel SS. Sacramento Gesù si fa Vittima per la nostra salvezza. Questa cosa si comprenderà meglio colle spiegazioni che faremo nei capitoli seguenti.

sabato 11 settembre 2010

La storia dell'invenzione e dell'Esaltazione della Santa Croce su cui, per opera di Gesù Cristo, fu compiuta la redenzione di tutto il genere umano, è troppo interessante per essere passata sotto silenzio. Facciamone dunque qualche cenno.

INVENZIONE DELLA SANTA CROCE

Costantino detto il Grande, figlio di Costanzo Cloro e di S.Elena, dopo essere stato presente alla morte del proprio padre nella Gran Bretagna, fu dichiarato imperatore in suo luogo il giorno 25 luglio 306. Investito della suprema autorità, cominciò a regnare nell'Inghilterra, nelle Gallie e nella Spagna che erano i paesi dominati da Costanzo quando da Diocleziano fu associato all'impero. a dopo qualche anno, sentendo che massenzio in Roma cercava di usurpargli il trono, mosse dal Reno contro di lui, e sapendo che il suo nemico era assai maggiore di forza, dacchè non aveva meno di duecentomila uomini, chiama in soccorso il Dio dei Cristiani, per i quali aveva una gran propensione. La sua speranza non lo tradì, ma anzi, il giorno inanzi alla battaglia, trovandosi alle porte di Roma qualche ora dopo il meriggio, a vista di tutto il suo esercito, non che di lui che ne era a capo, apparve in cielo una croce più luminosa del sole, e intorno alla quale si leggevano queste parole - Con questa bandiera tu vincerai - in hoc signo vinces. La notte seguente Gesù Cristo gli apparve in sogno, e mostrandogli di nuovo la croce apparsa in cielo il giorno avanti, gli comandò di farne subito costruire una in tutto simile a quella che gli era mostrata, e di usarla come stendardo di guerra, che avrebbe certissima la vittoria. Appena svegliato l'imperatore diede gli ordini opportuni per fare questa nuova bandiera tanto famosa sotto il nome di 'labaro', la quale consisteva in una lunga picca tutta coperta di oro traversata in alto da un altro legno che formava una croce dalle cui braccia pendeva un velo tessuto d'oro e pietre preziose. Al sommo della croce brillava una ricca corona d'oro, nel cui mezzo stavano le lettere greche indicanti il nome di Cristo. Con questa nuova bandiera che veniva portata dai veterani più distinti per valore e per pietà, si avanzò Costantino verso Massenzio, e al Ponte Milvio, detto ora il Ponte Molle, lo sconfisse per modo che il tiranno prese la fuga e si annegò nel Tevere il 28 ottobre del 312. Questa è quella grande vittoria che determinò Costantino a dichiarare la religione cristiana libera in tutto l'impero; il chè fece con formale decreto, sottoscritto in Milano nell'anno 313; tanto più che, vinto Massenzio, trionfò anche su Licinio, imperatore d'oriente, persecutore fierissimo del Cristianesimo, e così divenne egli solo padrone del mondo conosciuto a quei tempi. Pochi sono i fatti che abbiano tante prove tante quante ne abbia l'apparizione della Croce a Costantino. Eusebio ci assicura di averlo appreso alla bocca stessa dell'imperatore. lattanzio che scrisse prima di Eusebio ne parla come di fatto innegabile.

Risoluto Costantino di sfar trionfare la Croce in tutte la parti del suo impero, comandò prima di tutto di abbattere quei templi profani che l'Imperatore Adriano aveva fatto innalzare sopra il Santo Sepolcro, dopo di averlo riempito di terra e nascosto alla vista comune con un pavimento di pietra. Datone l'ordine a Draciliano, governatore della Palestina e partecipatene la notizia a s. Macario vescovo di Gerusalemme, santa Elena, madre dell'Imperatore, quantunque fosse già sugli ottant'anni, volle prendere personalmente la direzione, e pose ogni suo studio nel ricercare la Santa Croce. Dopo un lungo scavare, si giunse a scoprire il Sepolcro, e in sua vicinanza tre croci della stessa grandezza e della stessa forma, per cui non si poteva distinguer quale fosse quella del salvatore, tanto più che il titolo ordinato da Pilato era confuso tra i vari legni.

nell'impossibilità di riconoscere quale delle tre croci fosse quella che si cercava, s,Macario suggerì all'imperatrice di portarle tutte e tre alla casa di una gentildonna che era moribonda. Fatta una fervida preghiera, e portate le croci alla casa dell'ammalata, si provò a toccarla con esse: ma mentre alcun effetto si ebbe dalle prime, al tocco della terza l'ammalata si vide perfettamente guarita. Alcuni altri riferiscono che la Santa Croce era stata riconosciuta per l'istantanea resurrezione di un morto che sopra di essa fu steso, mentre nulla era avvenuto posandolo sulle altre due croci.

Riconosciuta la vera Croce, si fondò una chiesa nel luogo in cui fu trovata, ed ivi la si depose in una grande custodia di sommo valore. Una porzione però fu da S.Elena mandata al suo figlio in Costantinopoli, e un altra spedita alla chiesa da lei fondata in Roma e che ora si conosce sotto il nome di Santa Croce di Gerusalemme, alla quale regalò anche il titolo della Croce. La parte più considerabile della Santa Croce, fu fatta chiudere da S.Elena in un astuccio d'argento e lasciata a Gerusalemme sotto la custodia del vescovo s. Macario che la depose nella magnifica chiesa costruita sul Santo Sepolcro.

Da tutte le parti concorsero sempre i fedeli a venerare si gran Reliquia, ed è pur rimarcabile il fatto che da San paolino è riferito nella sua lettera a Severo, cioè che per quanti pezzetti venissero staccati da essa, non veniva mai a scemarsi, riproducendosi a misura che veniva tagliata come fosse legno ancora vivo. S.Cirillo di Gerusalemme, che viveva 25 anni dopo la Invenzione della Santa Croce, protesta che dopo essersene distribuiti tanti pezzetti da trovarsene in ogni parte del mondo, la Croce era ancora della stessa grandezza e grossezza, come se non fosse mai stata toccata da alcuno, e paragonava questo fatto ai pani moltiplicati nel deserto per sfamare cinquemila persone.

Un piccolo appunto:
Chi volesse venerare le Reliquie della Vera Croce sappia che da Costantinopoli, furono portate a Venezia, prima durante la IV crociata nel 1204, poi dai profughi della città, invasa dai turchi nel 1453. Attualmente hanno la loro collocazione nell cappella delle reliquie, all'interno del tesoro di San Marco.
Altri due importanti frammenti della Croce sono in possesso: uno nella Scuola Grande di s. Giovanni Evangelista, come documentato anche dal celebre ciclo pittorico di Vittore Carapaccio, l'altra alle Gallerie dell'Accademia, dentro il magnifico reliquiario appartenuto al cardinale Bessarione.
Le spoglie mortali di s.Elena si trovano, sempre a Venezia, nella chiesa a lei dedicata.

mercoledì 8 settembre 2010

8 Settembre, festa della Natività di Maria



La festa della natività della Beata Vergine Maria fu ordinata da Papa Sergio I nel 688 per ottenere, come ottenne, con l'intercessione di Maria: 1) la fine delle vessazioni dell'imperatore Giustiniano II, il quale voleva sostenere come ecumenico il Concilio Trullano o quinisesto, tenuto dai greci in Costntinopoli, malgrado la costante disapprovazione del Papa, il quale perciò né vi spedì i propri legati, né volle mai approvarne i canoni; 2) di riconciliare con la Chiesa romana il patriarcato di Aquileia che si ostinava a non riconoscere come legittimo il V concilio ecumenico, in cui si erano condannati i tre eretici libri di Teodreto, Teodoro di Mospsuesta ed Iba, denominati i Tre Capitoli.


Tra scriviamo ora la bellissima sequenza dedicata a questa festa nell'antico rito patriarchino-aquileiese:

Stirpe Maria regia procreata regem generans Iesum.
Laude digna angelorum sanctorum.
Et nos peccatores tibi devotos intuere benigna.
Tu pios patrum mores ostentas in te: sed excellis eosdem.
Patris tuis salomonis i te lucet sophia.
Et Ezechie apud Deum cor rectum: sed numquam in te corrumpendum.
Patris iosie adimplevit te religiositas.
summi etiam patriarche te fides totam possedit patris tui.
Sed quid nos istos recensemus heroas.
Cum tuus natus omnes praecedat illos atque cunctos per orbem.
Nos hac die tibi gregatos serva Virgo in luce mundi qua prodisti partitura caelorm lumen.

martedì 7 settembre 2010

Preci in occasione di temporale e per domandare la serenità dell'aria


Presentiamo un autentico tesoro ormai dimenticato della pietà popolare: le preci da recitarsi in occasione di temporale: testimonianza di una fede radicata nella vita quotidiana della povera gente delle campagne e mirabile riconoscimento della Potestà Divina sul creato, sopravvissuta nella Forma Extraordinaria del Rito Romano nelle cerimonie processionali delle rogazioni, fatte la settimana che precede l'Ascensione, all'inizio della stagione estiva.

Ancora oggi nei nostri borghi, qualche pia vecchietta, si ricorda ancora che, allo scatenarsi della folgore, la madre o la nonna compivano gli antichi gesti tramandatigli: con cura si raccoglievano alcune braci dal focolare nella paletta del camino, ci si recava sull'uscio di casa gettandoci sopra alcune foglie dell'ulivo benedetto e con questo improvvisato incensiere si tracciavano tre segni di croce verso le nubi minacciose, mentre la famigla intera recitava le apposite preci e le litanie dei

Santi.

PRECI IN OCCASIONE DI TEMPORALE


+Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.


I. Pietosissimo Iddio, che quando giustamente vi adirate per le nostre colpe, altrettanto benignamente ci riguardate appena ne facciamo penitenza, piegatevi adesso alle preghiere del vostro popolo, che sinceramente compunto dei propri falli, ve ne domanda perdono; e in vista della sua umiliazione e del suo ravvedimento, degnatevi di preservarlo da tutti quei mali che gli minacciano le tempestose nuvole addensate sopra il suo capo; e ridonando all’aria che lo circonda la sua primitiva serenità, fate che convertasi in santa allegrezza la sua presente afflizione.


Pater, Ave, Gloria. A fulgure et tempestate, libera nos, Domine.


II. Pietosissimo Iddio, al cui cenno si acquietano i tuoni e si estinguono i fulmini, si dissipa la grandine e si sciolgono in pioggia fecondatrice i turbini più minacciosi: degnatevi di purgare tutta l’aria che ci circonda da quei malefici umori, che a nostro danni vi ha condensato il comun nostro nemico, e così risolvasi in nuovo tratto di vostra infinita misericordia ciò che era ordinato a manifestazione di vostra tremenda giustizia.


Pater, Ave, Gloria. A fulgure et tempestate, libera nos, Domine.


III. Pietosissimo Iddio, che a mostrare la vostra predilezione per il vostro popolo, or lo faceste camminare nella luce mentre gli Egiziani brancolavano nelle tenebre, ora lo rallegraste col ciel sereno mentre sui Cananei infieriva una tempesta di sassi, or lo conservaste nella più florida sanità mentre i Filistei venivano travagliati dalle piaghe più schifose; degnatevi di mostrare a noi pure la tenerezza della vostra bontà, preservando noi e le nostre terre da ogni dsastro che seco porta il diluviar della pioggia, l’unfuriare del vento, il tempestar della grandine e lo scoppiare del fulmine da cui siam ora minacciati; e così ai gemiti che ora mandiamo per l’apprensione dei vostri castighi, succedano i cantici che vi promettiamo in ringraziamento dei vostri favori.


Pater, Ave, Gloria. A fulgure et tempestate, libera nos, Domine.


Quindi si possono recitare le litanie della Madonna e quelle dei santi,alle quali si aggiungono i santi Barbara e Irene protettrici contro il fulmine; Santa Genoveffa, S.Agapito e S. Grato intercessori di serenità. Poi si sostituisce al salmo LXIX il salmo CXLVII e quanto segue:


Lauda ierusalem Dominum; Lauda Deum tuum Sion.

quoniam confortavit sera portarum tua rum: benedixit filiis tuis in te.

Qui posuit fines tuos pacem; et adipe frumenti satiat te.

Qui emittit eloquium suum terrae ; velociter currit sermo ejus.

Qui dat nivem sicut lanam : Nebulam sicut cinerem spargit.

Mittit crystallum suam sicut buccellas : ante faciem frigoris eius quis sustinebit ?

emittet verbum suum, et liquefaciet ea ; flabit spiritus eius et fluent aquae.

Qui annuntiat verbum suum iacob : iustitias, et iudicia sua Israel.

Non fecit taliter omni nationi, et iudicia sua non manifestavit eis.

Gloria Patri…


Adjutorium nostrum in nomine Domini.

qui fecit coelum et terram.

ostende Domine misericordiam tuam.

Et salutare tuum da nobis.

Adjuva nos, Deus, salutaris noster

Et propter gloriam nominis tui, Domine, Libera nos.

Nihil proficiat inimicus in nobis.

et filius iniquitatis non apponat nocere nobis.

Fiat misericordia tua, Domine, super nos.

Quemadmodum speravimus in te.

Salvum fac populum tuum Domine.

Et benedic ereditati tuae.

Non privabis bonis eos, qui ambulant in innocentia.

Domine, Deus virtutum: beatus homo qui sperat in te.

Domine exaudi orationem meam. (D… vobiscum.)

Et clamor meus a te veniat. (et cum spir…..)

Oremus : A domo tua quaesumus Domine, spiritales nequitie repellantur: et aëriarum discedat malignitas tempestatum. Per Dominum…



PRECI PER IMPETRARE LA SERENITÀ

Dio eterno ed onnipotente, che, se faceste le acque ministre di vostra collera, ora allagando con esse tutte le contrade dell’universo ed ora in esse affogando tutto l’esercito del faraone, salvaste ancor dal diluvio il vostro fedele servo, Noè, e faceste camminare a piedi asciutti in mezzo alle onde sospese il vostro popolo, guardate con occhio di compassione le nostre campagne, i nostri armenti e specialmente noi tutti che, fatti ad immagine vostra, siamo il prezzo del sangue del vostro incarnato unigenito. Le dirotte piogge, che continuano da tanto tempo, ci minacciano tutti gli orrori della carestia e dell’inondazione; ed è da voi solo che possiamo aspettarci l’allontanamento di quel flagello che già sentiamo fischiare sul nostro capo.

Ricordatevi della promessa già fatta al santo patriarca ripopolatore del mondo, di non voler più desolare la terra con le acque del diluvio. Sovvenitevi del comando già fatto al mare di non oltrepassare i confini da voi prescritti, e di guardarsi bene dal devastare con le sue onde i nostri campi e le nostre case. Non dimenticatevi che al vostro cenno le acque assodaronsi e mille volte per seguire ai bisogni dei vostri servi, e dgnatevi di rinnovare per noi i prodigi della vostra onnipotenza, arrestando nell’aria quelle piogge che guastando tutti i prodotti, rovinano tutte le abitazioni, e desolano tutte le famiglie. Comandate alle nubi di scomparire da tutto il nostro orizzonte. E, in vista del perdono che vi chiediamo di quelle colpe che, provocando la vostra collera ci resero il cielo così nemico, rallegrateci colla vista dell’iride annunciatrice sicura della sospirata serenità. Cessate di lavare con l’acqua sterminatrice la nostra terra, mentre noi non cessiamo di mondare con le lacrime della penitenza le nostre anime. La serenità del cielo che imploriamo ci sia sicura caparra della vostra riconciliazione con noi. E fate che sempre più affezzionandoci a voi, in vista dei nuovi benefici che attendiamo dalla vostra misericordia, vi siamo sempre fedeli in tutti i momenti di nostra vita, e così ci assicuriamo quel beatissimo regno ove l’aria mai si annuvola, la gioia mai si intorbida, l’amore mai non si intiepida, la gloria mai non vien meno, per tutti i secoli dei secoli. Amen.


Pater, Ave, gloria.

Qundi si dicono le litanie dei santi aggiungendo due volte dopo il verso “ut animas nostras”: ut fidelibus tuis aeris serenitatem concedere digneris. Dopo la litania, al posto del salmo LXIX il salmo LXVI:


Deus, misereatur nostri, et benedicat nobis: illuminet vulnus suum super no set misereatur nostri.

Ut cognoscamus in terra viam tuam: in omnibus genti bus salutare tuum.

Confiteantur tibi populi, Deus: confiteantur tibi populi omnes.

Laetentur et exultent gentes : quoniam iudicas populos in aequitate, et gentes in terra dirigis.

Confiteantur tibi populi, Deus, confiteantur tibi populi omnes : terram dedit fructum suum.

Benedicat nos Deus, Deus noster, benedicat nos Deus : et metuant eum omnes fines terrae.

Gloria Patri…


Adduxisti, Domine, spiritum tuum super terram.

Et prohibitae sunt pluvie de coelo.

Cum obduxero nubibus coelum.

Apparebit arcus meus et recordabor foederis mei.

Illustra faciem tuam, Domine, super servos tuos.

Et benedic sperantes in te.

Domine exaudi orationem meam. (D… vobiscum.)

Et clamor meus a te veniat. (et cum spir…..)

Oremus: Ad te nos, Domine, clamantes exaudi: et aëris serenitatem nobis tribue supplicantibus ; ut, qui juste pro peccatis nostris affligimur, misericordia tua praeveniente, clementiam sentiamus. Per Dominum...

lunedì 6 settembre 2010

Istruzione sull' Acqua Santa

tratto dal manuale di Filotea di Giuseppe Riva.
L'uso dell'Acqua Santa è antichissimo. S.Giustino infatti ci fa sapere nella sua II apologetica che fin dai suoi tempi, cioè al principio del II secolo, ogni domenica si poneva gran cura perchè, dovunque si adunavano i fedeli, non mancasse l'acqua benedetta, colla quale il sacerdote li aspergeva perchè fossero sempre meglio purificati. E prima ancora di san Giustino il papa s.Alessandro comandò ai sacerdoti di benedir tutto il popolo con l'Acqua Santa: e dalle parole del suo decreto rilevasi che questa pratica era già in uso fin dai tempi apostolici. Il primo autore di questa istituzione si crede essere l'apostolo s.Matteo.
L'acqua Santa si fa dai Sacerdoti in cotta e stola, mischiando il sale coll'acqua, recitando sopra do essa le orazioni prescritte dalla Chiesa. Si mischia il sale coll'acqua affinchè, essendo il sale simbolo di purezza e dell'incorruzione, e l'acqua simbolo di semplicità e purità, tutti coloro che di essa si aspergono restino purificati da ogni immondezza, e premuniti contro le insidie diaboliche; e coll'aiuto divino divengano prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Questo mescolamento rappresenta inoltre:
  1. la incarnazione del Verbo: perocchè se nell'acqua che scorre sopra la terra si rappresenta la natura umana, nel sale che tutto condisce e rende incorruttibile, si rappresenta la natura divina che in unità di persona si trova in Gesù Cristo;
  2. l'unione del popolo con Gesù Cristo, perocchè, come del'acqua che è tutta semplicità e del sale che è tutto sapore, si fa una cosa sola, così del popolo fedele si fa un solo corpo mistico con Gesù Cristo per mezzo della sapienza evangelica che ce lo fa conoscere ed amare, e quindi strettissimamente ci unisce a lui per mezzo della Grazia in questa vita e per mezzo della gloria nell'altra.

L'acqua benedetta si pone all'ingresso della chiesa, affinchè il popolo che vi entra, mondato delle colpe veniali, preghi con maggiore purità di coscienza, e più facilmente impetri ciò che chiede. Il che tanto più conviene ai cristiani al primo metter piede entro le chiese, in quanto che gli Ebrei erano soliti purificarsi prima di entrare nel tempio; ed è perciò che al suo ingresso si trovano capacissime vasche espressamente ordinate a questo scopo.
Si costuma inoltre di portarla alle proprie abitazioni, ed ivi conservarla con decenza presso il letto onde usarla per farsi il segno della Santa Croce nel coricarsi, nel levarsi, in tempo di gravi tentazioni, di procelle, di malattie, non che di qualunque altro bisogno, e così chiamare sopra di se la benedizione del Cielo, e sempre più rinvigorirsi contro gli assalti dei propri nemici. Si aspergono ancora:

  1. le case, le stalle, le mandrie, onde tener lontane le infestazioni degli spiriti maligni;
  2. Le suppellettili, le vesti, i cibi, affinchè il loro uso riesca profittevole sia all'anima che al corpo;
  3. il cimitero e i cadaveri dei fedeli, onde rendere sempre più efficaci i suffragi che si fanno alle anime dei defunti;
  4. finalmente tutti i luoghi Sacri e gli oggetti di culto, affinchè santificati con questa aspersione riesca di maggiore gradimento al Signore l'uso che se ne fa, e ispirino i fedeli la venerazione che si meritano.

Per godere poi tutti i vantaggi a cui è ordinata l'Acqua Santa, bisogna usarla con sentimenti di fede, di umiltà e di contrizione, giacchè quest'Acqua non opera se non per via di impetrazione, e sempre a misura delle disposizioni di chi se ne serve. E' dunque interesse di ogni cristiano d'adoperarla frequentemente, ma sempre con grande rispetto, e di tenerne sempre provveduta la propria casa.






domenica 5 settembre 2010

La Santa Messa spiegata i fanciulli. IV parte

4. Il grande tempio di Salomone


Durante i quarant'anni in cui il popolo Ebreo dovette viaggiare attraverso al deserto, prima di giungere alla Terra Promessa, volle il Signore che i sacrifici gli fossero offerti con grande solennità, ed in un luogo a ciò consacrato.

Mosè ebbe ordine da Dio di costruire un grande tabernacolo, formato di legno di setim (preziosissimo) rivestito di lamine d'oro. Questo tabernacolo era lungo circa 15 metri, largo 5 metri, alto 5 metri. E intorno al tabernacolo vi era un grandissimo cortile, lungo 50 metri; e tutt'intorno al cortile vi erano colonne di legno prezioso, con basi di rame e capitelli d'argento. Dentro al tabernacolo vi era l'Arca Santa, che stava dietro ad una grande tenda preziosa, tutta ricamata. Davanti al tabernacolo vi era un grande altare, per offrire al Signore buoi, pecore ed altri animali, che i Sacerdoti uccidevano e bruciavano in onore di Dio. E vi era anche una grande mensa tutta d'oro, sulla quale si offrivano al Signore i pani benedetti. Un altro altare, tutto d'oro, si chiamava l'altare dei profumi, perché sopra di esso il Sacerdote offriva al Signore l'incenso tutti i giorni, mattina e sera. Or tutto questo fu ordinato da Dio a Mosè, perché il popolo, durante il suo lungo peregrinare attraverso al deserto, sentisse sempre più profondamente il dovere di offrire a Dio sacrifici in ogni tempo e in ogni luogo. Ma quando il popolo del Signore si fu stabilito nella Terra Promessa, ed ebbe finito le sue guerre di conquista, il Signore comandò che fosse costruito in suo onore un tempio grandioso, perché fossero offerti i sacrifici alla sua Maestà infinita, in una forma più conveniente e più solenne. Ed il grande re Salomone ebbe l'altissimo onore di costruire a Dio il magnifico tempio di Gerusalemme, che fu una delle più grandi meraviglie del mondo. Per la costruzione del grandioso tempio fu una profusione di oro, di argento, di marmi e di pietre preziose da non potersi ridire. Si computa che vi sia stata spesa una somma, che oggi equivarrebbe a circa due miliardi delle nostre lire!.... Vi lavorarono più di centocinquantamila operai, ed i lavori durarono sette anni e mezzo. Davanti al Santuario, nel mezzo del cortile, che era circondato da un grandioso colonnato (lungo 258 metri), era costruito un grande altare, sul quale i Sacerdoti uccidevano e bruciavano gli animali in sacrificio al Signore (fig. 4).


Figura 4: Davanti al Santuario era costruito un grande altare, sul quale i Sacerdoti uccidevano e


bruciavano gli animali in sacrificio al Signore!



Nel giorno della dedicazione del tempio il re Salomone ordinò che su quell'altare fossero offerti a Dio migliaia di buoi! Nel vasto cortile volle Salomone che fossero poste dieci grandi conche di rame, ed una più grande assai delle altre che fu detta mare di bronzo. In tutte queste conche si teneva l'acqua, che doveva servire ai Sacerdoti per lavarsi le mani ed i piedi, prima di avvicinarsi all'altare per offrire a Dio i sacrifici. Così aveva comandato il Signore fin dai tempi di Mosè. Queste lavande ricordavano ai Sacerdoti la purezza che essi dovevano avere nell'anima e nel corpo per offrire sacrifici al Signore. Or dunque, se il Signore volle che i Sacrifici gli fossero offerti in un tempio a lui consacrato, sfarzosamente ricco di oro di argento e di pietre preziose, e se volle che i Sacerdoti si appressassero all'altare mondi nell'anima e nel corpo, ciò significa che egli dava una grandissima importanza ai sacrifici; e voleva far comprendere il grave dovere, che hanno gli uomini, di offrirne a lui in ogni tempo ed in ogni luogo.

giovedì 2 settembre 2010

Omelia: "Il valore del rito romano antico"

di Padre Konrad zu Loewenstein



Per valutare i meriti di un rito di Messa bisogna prima considerare la natura della Messa. Ora, la Santa Messa è nient’altro che il Santo Sacrificio del Calvario: il sacerdote è lo stesso, ossia Gesù Cristo nella persona del celebrante; la vittima è la stessa, ossia Gesù Cristo sotto l’apparenza del pane e del vino. Lo stesso sacerdote, la stessa vittima: lo stesso sacrificio. Ogni rito di Messa della Chiesa Cattolica rende presente questo sacrificio; ci sono molti riti, tra i quali il rito bizantino, il rito ambrosiano, il rito siro-malabarese, il rito nuovo di Paolo VI, ma per valutare un rito particolare bisogna chiedersi quanto esso è adeguato al Sacrificio del Calvario.


Sacrificio, umiltà e riverenza

Quanto al rito romano antico dobbiamo subito constatare che esso è molto adeguato al sacrificio del Calvario e questo in tre modi generali, cioè il rito antico manifesta chiaramente la natura sacrificale della Messa, e la debita umiltà e riverenza di coloro che partecipano a questo Sacrificio. Il rito antico manifesta la natura sacrificale della Messa innanzitutto nel suo uso di un altare sacrificale (piuttosto di una tavola) che contiene le reliquie dei martiri, un altare sacrificale in posizione sopraelevata (come suggerisce l’etimologia del termine altare, ovvero alta ara) che rappresenta il monte Calvario; manifesta la natura sacrificale della Messa nel suo uso costante dei termini “sacrificio” e “oblazione”, e nei moltissimi segni di croce. Il rito antico manifesta l’umiltà in parecchi modi, tra cui i due Confiteor, con il loro ricorso agli angeli e ai santi, la preghiera Domine non sum dignus per tre volte prima della Santa Comunione, il battersi il petto tre volte nel Confiteor e nel Domine non sum dignus e la Comunione in ginocchio e sulla lingua – perché la Santa Comunione non è un oggetto qualsiasi di cui ci si appropria, ma Iddio Stesso che si riceve, in tutta indegnità, umiliazione e raccoglimento. Il rito antico manifesta anche la riverenza in tutti questi modi e, inoltre, nei moltissimi inchini e genuflessioni del celebrante; nella sua attenzione a non lasciar cadere alcun frammento, neppure il più piccolo del Santissimo Sacramento, a tenere chiuse le dita e a purificare scrupolosamente la patena, il corporale, le dita, e similmente anche il calice. Questi tre aspetti del rito antico: la sua chiara manifestazione del sacrificio, dell’umiltà, della riverenza vengono espressi in modo esemplare nella preghiera Placeat Tibi, recitata dal celebrante verso la fine della Santa Messa con un profondo inchino: «Sia a Voi gradito, o Santa Trinità, l’ossequio della mia servitù, e concedete che il Sacrificio da me indegno offerto agli occhi della Vostra maestà, sia accetto a Voi e fecondo di bene per Vostra bontà a me e a tutti coloro ai quali l’ho offerto, per Cristo Signore nostro. Così sia».


La posizione del celebrante, il latino, il silenzio

Consideriamo adesso tre modi particolari in cui il rito antico è adeguato al Santo Sacrificio del Calvario, cioè la posizione del celebrante, l’uso del latino, e il silenzio. Questi tre elementi sono stati oggetto di critica da parte di coloro che non amano questo rito.
Il primo elemento viene criticato con frasi come: «Il prete dà le spalle ai fedeli». La risposta semplice a questo è: «Il prete dà la faccia a Dio». Abbiamo visto che la santa Messa è il Sacrificio del Calvario. Questo sacrificio, nelle parole di San Giovanni della Croce, è il Sacrificio di Dio, da Dio, a Dio: è il Sacrificio che nostro Signore Gesù Cristo fa di se stesso a Dio Padre. Durante la Santa Messa il celebrante (nella persona di Cristo) offre questo Sacrificio a Dio realmente presente nel tabernacolo e rappresentato in croce. Non offre il sacrificio al popolo, ma con il popolo e per il popolo, come significa anche la parola "liturgia", che significa “l’opera (ergon) per il popolo (laos)” e questo spiega la posizione del celebrante che sta a capo del popolo rivolto come loro e con loro verso Iddio. Criticare questa posizione del celebrante è come criticare un avvocato che non sta di fronte ai suoi clienti nel tribunale. Sarebbe una critica assurda, perché l’avvocato deve presentare il suo caso al giudice per i suoi clienti, e dunque deve essere rivolto al giudice come i suoi clienti e con i suoi clienti che si trovano quindi dietro di lui. Il secondo elemento, l’uso del latino, viene criticato con frasi come: «Nessuno capisce il latino». La risposta a questo è che, in realtà, alcuni lo capiscono, e molti capiscono almeno qualche elemento, come le preghiere, Gloria in excelsis Deo, Agnus Dei; e tuttavia ci sono libretti con traduzioni per aiutarci a capire, e ci sono stati sempre. E’ pur vero che il latino esige un certo sforzo per i fedeli, ma ci sono buoni motivi per fare questo sforzo. Un primo motivo sarebbe che il latino è una lingua sacra, maggiormente adeguata al Santo sacrificio della Messa che è un’opera di Dio che trascende assolutamente tutte le cose di questo mondo; un secondo motivo è che il latino è una lingua immutabile, e perciò conviene al Santo Sacrificio che è anch’esso immutabile e reso presente nella sua forma identica con ogni celebrazione della Messa; un terzo motivo è che il latino è una lingua tradizionale che ci unisce con la Santa Messa come fu celebrata nel corso dei secoli; un quarto motivo è che il latino è una lingua universale per tutti coloro che pregano secondo il rito romano, proprio come il sacrificio del calvario è un sacrificio universale: per tutti gli uomini – almeno per tutti gli uomini che vogliono accettarlo. Fino a poco tempo fa un fedele poteva andare a Messa in qualsiasi paese del mondo: Polonia, Cina, Olanda, Germania ecc. e mediante questo rito essere unito agli altri cattolici presenti, ed essere accolto nel seno consolante della madre Chiesa. Infatti in quanto il latino è tradizionale e universale può unire tutti i cattolici di rito romano di tutte le nazioni e di tutte le epoche. Il latino è una lingua sacra, immutabile, tradizionale e universale, e per questo è più adeguato al Sacrificio della Messa, così come lo è alla Chiesa e al Cattolicesimo stesso.Si può aggiungere che rigettare il latino dalla Messa significa rigettare anche la più bella musica del mondo, la quale fu scritta per la Chiesa: il canto gregoriano e le opere di musica dei più grandi compositori classici, la qual musica è stata bandita dalla Chiesa e profanata, confinandola nelle sale da concerto e negli studi di registrazione. Ci si può chiedere se la critica della posizione del celebrante e del latino non contenga qualcosa di egocentrico: «Io voglio che il celebrante si indirizzi a me e voglio capire subito». Perché nella Santa Messa non si abbassa qualcosa a livello dell’uomo, ma ci si innalza a livello di Dio; non si rimane rinchiusi nella propria umanità, ma si esce da se stessi verso la Divinità; non ci si appropria, ma si dà di se stessi; non si domina, ma ci si umilia davanti alla Maestà infinita di Dio. E non si tratta tanto di conoscere, quanto di amare. Difatti la santa Messa, il Sacrificio del Calvario sono una cosa che non riusciremo mai a comprendere completamente. Se il latino è un modo eccellente per esprimere ciò che possiamo capire, il resto è silenzio. Ora, le persone che non apprezzano il silenzio, che dicono: «Non si dice niente, non si fa niente, non si partecipa», trascurano che il silenzio rende possibile ciò che è più grande delle parole o dei gesti, che permette una partecipazione più profonda nei santi misteri della Messa: ossia la contemplazione e l’adorazione di Dio, l’umiliazione di se stessi e l’offerta di se stessi a Dio. «Fa silenzio e sappi che sono Iddio».


Opera perfetta e mistero

Ci sono due ultimi aspetti del Santo Sacrificio della Messa che vengono ben espressi nel rito antico romano e questi sono la sua perfezione e il suo mistero. Il Santo Sacrificio della Messa è un’opera perfetta perché opera di Dio, Opus Dei nelle parole di San Bernardo, anzi la sua opera più grande: esige dunque una collaborazione corrispondente da parte degli uomini, infatti la Messa solenne secondo questo rito è stata definita il più grande compimento della civiltà occidentale. Tutti gli elementi devono contribuire a quest’opera sublime, divina e umana allo stesso tempo: i gesti, i movimenti, l’architettura della Chiesa, i paramenti, le candele, l’incenso, il canto, la musica, i fiori. Tutto deve essere perfetto (humano modo), bello e degno di Dio.
In ultima analisi tutti questi elementi esprimono un mistero che, come abbiamo detto, non potremo mai comprendere: il mistero che Iddio viene chiamato sull’altare da un uomo, che il pane e il vino diventano Dio e rendono presente il Sacrificio del Calvario, che questo Sacrificio unico si ripete nel corso dei secoli, che Iddio sacrifica Dio a Iddio, che Iddio viene consumato dalle Sue creature, che così vengono unite con Lui e con tutti i membri della Chiesa, che tutta la Chiesa sulla terra, nel Purgatorio e nel Paradiso ne godono. Questi misteri esigono un quadro adeguato, un quadro che il rito antico fornisce in modo mirabile, nel quale i fedeli, almeno una volta alla settimana, possano uscire dal mondo moderno e dalla vita quotidiana, dura e talvolta anche brutta e dolorosa, per ritrovare un riflesso della bellezza e del mistero di Dio sublime e assolutamente trascendente, Colui che solo può dare un senso alla loro vita; un quadro, infine, dove possano abbassarsi davanti alla Sua divina Maestà, adorarLo e offrirsi completamente a Lui in unione con il Santo Sacrificio del Calvario.


Venezia, Domenica 22 Ottobre 2006