L’articolo che segue, di Mons. Athanasius Schneider, il vescovo autore di “Dominus est“, è stato pubblicato sull’edizione dell’estate 2012 di “The Latin Mass“. Il vescovo Schneider esamina i punti di rottura tra la liturgia preconciliare e postconciliare considerandoli vere e proprie “piaghe liturgiche”, anche perché, per la maggior parte, non sono nemmeno previste dala Sacrosanctum Concilium. Propone anche il ristabilimento di un minimo di continuità, che considera condizione imprescindibile per la nuova evangelizzazione, vista la corrispondenza tra lex orandi e lex credendi.
Rito della Messa: Forma straordinaria e nuova evangelizzazione.
S. Ecc. Mons. Athanasius Schneider
Volgendo lo sguardo verso Cristo
Per
parlare correttamente di nuova evangelizzazione, è necessario in primo
luogo a volgere lo sguardo verso Colui che è il vero evangelizzatore,
cioè Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto Uomo.
Il Figlio di Dio venne su questa terra per espiare e riparare il più
grande peccato, il peccato per eccellenza. E questo peccato, il peccato
per eccellenza dell’umanità, consiste nel rifiuto di adorare Dio e nel
rifiuto di mantenere per lui il primo posto, il posto d’onore. Questo
peccato da parte dell’uomo consiste nel non prestare attenzione a Dio,
non avendo più il senso della convenienza delle cose, o anche il senso
dei dettagli relativi a Dio e dell’adorazione che gli è dovuta, nel non voler vedere Dio, e nel non voler a inginocchiarsi davanti a Dio.
Per
chi ha un tale atteggiamento, l’incarnazione di Dio è una fonte di
imbarazzo e di conseguenza anche la presenza reale di Dio nel mistero
eucaristico è motivo di imbarazzo, come lo è la centralità della
presenza eucaristica di Dio nelle nostre chiese. Infatti l’uomo
peccatore vuole il centro della scena per se stesso, sia all’interno
della Chiesa che durante la celebrazione eucaristica. Vuole essere
visto, per farsi notare.
Per questo motivo Gesù Eucaristia, Dio incarnato, presente nel tabernacolo sotto la forma
eucaristica, viene messo da parte. Anche la rappresentazione del
Crocifisso sulla croce in mezzo all’altare durante la celebrazione verso
il popolo è un imbarazzo, perché potrebbe nascondere il volto del
sacerdote. Pertanto, l’immagine del Crocifisso al centro dell’altare,
così come Gesù Eucaristia nel tabernacolo nel centro dell’altare, è un
imbarazzo. Di conseguenza, la croce e il tabernacolo sono spostati a
lato. Durante la messa, l’assemblea deve essere in grado di vedere il
volto del sacerdote in ogni momento, e lui si diverte a mettersi
letteralmente al centro della casa di Dio… E se per caso Gesù, realmente
presente a noi nella Santissima Eucaristia, è ancora lasciato nel suo
tabernacolo al centro dell’altare perché il Ministero di monumenti
storici, anche in un regime ateo, ha proibito il suo spostamento per la
conservazione del patrimonio artistico, il prete, spesso, durante tutta
la celebrazione eucaristica, non si fa scrupolo di voltargli le spalle.
Quante
volte gli adoratori di Cristo buoni e fedeli, piangendo, hanno gridato,
nella loro semplicità e umiltà: “Dio ti benedica, Ministero dei
monumenti storici! Almeno ci hanno lasciato Gesù al centro della nostra
chiesa “.
La Messa è destinata a dare gloria a Dio, non agli uomini
Solo sulla base
dell’adorazione e della glorificazione di Dio la Chiesa può
adeguatamente proclamare la parola di verità, vale a dire evangelizzare.
Prima che il mondo abbia mai sentito Gesù, il Verbo eterno fatto carne,
predicare e annunciare il Regno, Egli ha adorato in silenzio per trenta
anni. Questa rimane sempre la legge per la vita della Chiesa e la sua
azione, nonché per tutti gli evangelizzatori. “Dal modo in cui viene trattata la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa”,
ha detto il cardinale Ratzinger, il nostro attuale Santo Padre
Benedetto XVI. Il Concilio Vaticano II ha voluto ricordare alla Chiesa
quale realtà e quali azioni sarebbero dovute essere al primo posto nella
sua vita.
Per
questa ragione la prima parte degli atti del Concilio è stata dedicata
alla liturgia. Il Concilio ci dà i seguenti principi: nella Chiesa, e
quindi nella liturgia, l’uomo deve essere orientato verso il divino ed
essere subordinato ad esso, allo stesso modo il visibile in relazione
l’invisibile, l’azione in relazione alla contemplazione, la città
presente in relazione a quella futura, a cui aspiriamo (vedi
Sacrosanctum Concilium, 2). Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano
II nostra liturgia terrena partecipa in anticipo alla liturgia celeste
della città santa di Gerusalemme (ibid., 2).
Tutto
ciò che riguarda la liturgia della Santa Messa, vale a dire le
preghiere di adorazione, di ringraziamento, di espiazione e di petizione
che il sommo ed eterno Sacerdote ha presentato al Padre, deve quindi
servire a esprimere chiaramente la realtà del sacrificio di Cristo.
La forma straordinaria e la nuova evangelizzazione
Il
rito e ogni dettaglio del Santo Sacrificio della Messa deve incentrarsi
sulla glorificazione e adorazione di Dio, insistendo sulla centralità
della presenza di Cristo, sia nel segno e la rappresentazione del
Crocifisso, sia nella sua presenza eucaristica nel tabernacolo, e in
particolare al momento della Consacrazione e della Santa Comunione. Più
questo è rispettato, meno l’uomo è protagonista nella celebrazione, e
tanto meno la celebrazione appare come un cerchio chiuso in se stesso;
piuttosto [è un cerchio] aperto a Cristo e avanza verso di lui
come in un corteo, con il sacerdote alla sua testa; come una processione
liturgica ha il pregio di rispecchiare il sacrificio di adorazione di
Cristo crocifisso; i frutti derivanti dalla glorificazione di Dio e
ricevuti nelle anime dei presenti saranno più ricchi; Dio li onorerà di
più.
Quanto
più il sacerdote e i fedeli, nelle celebrazioni eucaristiche, cercano
sinceramente la gloria di Dio piuttosto che quella degli uomini e non
cercano di ricevere la gloria gli uni dagli altri, più Dio li
considererà, concedendo che le loro anime possano partecipare più
intensamente e con frutto alla gloria e all’onore della sua vita divina.
Oggi,
in vari luoghi della terra, ci sono molte celebrazioni della Santa
Messa che, si potrebbe dire, rappresentano un inversione del Salmo
113:9: “Non a te, o Signore, ma al nostro nome dà gloria” [chissà che cosa ne direbbe il Card. Siri! n. d. t.]. A tali celebrazioni si riferiscono le parole di Gesù: “Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?” (Gv 5:44).
I sei principi della riforma liturgica
Il Concilio Vaticano II stabilì i seguenti principi in merito a una riforma liturgica:
1.
Durante la celebrazione liturgica, l’umano, il temporale, e l’azione
devono essere diretti verso il divino, l’eterno, e la contemplazione, il
ruolo dei primi deve essere subordinato a questi ultimi (Sacrosanctum
Concilium, 2).
2.
Durante la celebrazione liturgica, dovrà essere incoraggiata la
consapevolezza che la liturgia terrena partecipa alla liturgia celeste
(Sacrosanctum Concilium, 8).
3.
Non ci deve essere assolutamente alcuna innovazione; quindi nessuna
nuova creazione dei riti liturgici, in particolare nel rito della Messa,
se non per un guadagno vero e certo per la Chiesa, e a condizione che
tutto sia fatto con prudenza e, se ciò è garantito, che nuove forme
sostituiscano organicamente quelle esistenti (Sacrosanctum Concilium,
23).
4. Il rito della Messa deve essere tale che il sacro sia affrontato in modo più esplicito (Sacrosanctum Concilium, 21).
5. Il latino deve essere conservato nella liturgia, soprattutto alla Santa Messa (Sacrosanctum Concilium, 36 e 54).
6. Il canto gregoriano ha un posto d’onore nella liturgia (Sacrosanctum Concilium, 116).
I
Padri conciliari hanno visto le loro proposte di riforma come la
continuazione della riforma di san Pio X (Sacrosanctum Concilium 112 e
117) e del servo di Dio Pio XII, anzi, nella Costituzione liturgica,
l’Enciclica Mediator Dei di Pio XII è quella citata più spesso.
Tra
le altre cose, il Papa Pio XII ha lasciato alla Chiesa un importante
principio della dottrina riguardante la Santa Liturgia, vale a dire la
condanna di quello che viene chiamato archeologismo liturgico, le cui
proposte sono in gran parte sovrapponibili a quelle del sinodo
giansenista e tendente al protestantesimo di Pistoia (vedi Mediator Dei,
63-64).
È un dato di fatto che richiamino alla mente il pensiero teologico di Martin Lutero.
Per
questa ragione, il Concilio di Trento aveva già condannato le idee
liturgiche protestanti, in particolare l’enfasi esagerata sulla nozione
di banchetto nella celebrazione eucaristica a scapito del suo carattere
sacrificale e la soppressione di segni univoci di sacralità come
espressione del mistero della liturgia (Concilio di Trento, sessione
22).
Le
dichiarazioni dottrinali del Magistero sulla liturgia, in questo caso
quelle del Concilio di Trento e dell’ enciclica Mediator Dei e che si
riflettono in una prassi liturgica secolare, o addirittura millenaria,
queste dichiarazioni, dico, formano una parte di quell’elemento della
Santa Tradizione che non si può abbandonare senza incorrere in gravi
danni spirituali. Il Vaticano II ha confermato queste dichiarazioni
dottrinali sulla liturgia, come si può vedere leggendo i principi
generali del culto divino nella Costituzione liturgica Sacrosanctum
Concilium.
Come
esempio di errore nel pensiero e nella prassi liturgica, Papa Pio XII
cita la proposta di dare all’altare la forma di un tavolo (Mediator Dei
62).
Se
già Papa Pio XII rifiutò l’altare a forma di tavolo , si può immaginare
quanto più egli avrebbe rifiutato la proposta per una celebrazione
attorno a un tavolo versus populum!
Quando
la Sacrosanctum Concilium (n. 2) insegna che, nella liturgia, la
contemplazione ha la priorità e che tutta la celebrazione deve essere
orientata ai misteri celesti (ibid. 2 e 8), riecheggia fedelmente la
seguente dichiarazione del Concilio di Trento: “E
perché la natura umana è tale, che non facilmente viene tratta alla
meditazione delle cose divine senza piccoli accorgimenti esteriori, per
questa ragione la chiesa, pia madre, ha stabilito alcuni riti, che cioè,
qualche tratto nella messa, sia pronunziato a voce bassa, qualche altro
a voce più alta. Ha stabilito, similmente, delle cerimonie, come le
benedizioni mistiche; usa i lumi, gli incensi, le vesti e molti altri
elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, con
cui venga messa in evidenza la maestà di un sacrificio così grande, e le
menti dei fedeli siano attratte da questi segni visibili della
religione e della pietà, alla contemplazione delle altissime cose, che
sono nascoste in questo sacrificio.“(Sessione 25, capitolo 5).
Gli
insegnamenti magisteriali della Chiesa citati sopra, in particolare la
Mediator Dei, erano certamente riconosciuti come pienamente valida dai
Padri del Concilio. Pertanto essi devono continuare ad essere pienamente
validi per tutti i figli della Chiesa anche oggi.
Le cinque piaghe del Corpo mistico di Cristo liturgico
Nella
lettera a tutti i vescovi della Chiesa cattolica che Benedetto XVI ha
inviato il 7 luglio 2007 con il Motu Proprio Summorum Pontificum, il
Papa ha fatto la seguente importante dichiarazione: “Nella storia
della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per
le generazioni precedenti era sacro, resta sacro e grande anche per
noi.” Nel dire questo, il Papa ha espresso il principio
fondamentale della liturgia che hanno insegnato il Concilio di Trento,
Papa Pio XII e il Concilio Vaticano II.
Guardando
senza pregiudizi e obiettivamente la prassi liturgica della stragrande
maggioranza delle chiese di tutto il mondo cattolico in cui viene
utilizzata la forma ordinaria del rito romano, nessuno può onestamente
negare che i sei principi liturgici del Vaticano II siano costantemente
violati, o quasi, nonostante l’affermazione erronea che questa sia la
prassi liturgica voluta dal Vaticano II. Ci sono un certo numero di
aspetti concreti della prassi liturgica attualmente prevalente nel rito
ordinario che rappresentano una rottura vera e propria rispetto ad una
pratica liturgica costante e millenaria. Con questo intendo le cinque
pratiche liturgiche che citerò a breve, che possono essere definite le
cinque piaghe del corpo mistico liturgico di Cristo. Si tratta di
ferite, perché costituiscono una rottura violenta con il passato in
quanto minimizzano il carattere sacrificale (che in realtà è il
carattere centrale ed essenziale della Messa) e propongono l’idea del
banchetto. Tutto questo riduce i segni esteriori di adorazione divina,
perché mette in evidenza in misura molto minore la dimensione celeste ed
eterna del mistero.
Ora
le cinque ferite (tranne per le nuove preghiere dell’Offertorio) sono
quelli che non sono previsti nella forma ordinaria del rito della Messa,
ma sono stati portati in esso attraverso la pratica di una moda
deplorevole.
A)
La prima e più ovvia ferita è la celebrazione del Sacrificio della
Messa in cui il sacerdote celebra con la faccia rivolta verso i fedeli,
soprattutto durante la preghiera eucaristica e la consacrazione, il
momento più alto e più sacro del culto che è dovuto a Dio. Questa forma
esteriore corrisponde, per sua stessa natura, più che altro al modo in
cui si insegna in una classe o si condivide un pasto. Siamo in un
circolo chiuso. E questa forma assolutamente non è conforme al momento
della preghiera, meno ancora a quella di adorazione. Eppure il Vaticano
II non ha voluto affatto questa forma, né la stessa è mai stata
raccomandata dal Magistero dei Papi dopo il Concilio.
Papa Benedetto XVI ha scritto nella prefazione al primo volume delle sue opere raccolte: “L’idea
che il sacerdote e il popolo in preghiera devono guardarsi l’un l’altro
reciprocamente è nata solo in età moderna ed è completamente estranea
al cristianesimo antico. Infatti, il sacerdote e il popolo non
affrontano la loro preghiera gli uni verso gli altri, ma insieme la
rivolgono all’unico Signore. Per questo motivo, nella preghiera,
guardano nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico
del ritorno del Signore, o, dove questo non fosse possibile, verso una
immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso
l’alto“.
La
forma di celebrazione in cui tutti volgono il loro sguardo nella stessa
direzione (Conversi ad orientem, ad Crucem, ad Dominum) è anche
menzionata nelle rubriche del nuovo rito della Messa (cfr. Ordo Missae,
25, 133, 134). La cosiddetta celebrazione versus populum non corrisponde
certo all’idea della Santa Liturgia come indicato nella dichiarazione
della Sacrosanctum Concilium, 2 e 8.
B)
La seconda ferita è la comunione nella mano, che ora è diffusa in quasi
tutto il mondo. Non solo questo modo di ricevere la comunione non è in
alcun modo menzionato dai Padri del Concilio Vaticano II, ma è stato in
realtà introdotto da un certo numero di vescovi in disobbedienza alla
Santa Sede e nonostante il voto a maggioranza negativo dai vescovi nel
1968. Papa Paolo VI la legittimò solo più tardi, a malincuore, e in
particolari condizioni.
Papa
Benedetto XVI, dal Corpus Christi 2008, distribuisce la Comunione ai
fedeli in ginocchio e sulla lingua, sia a Roma che in tutte le chiese
locali che visita. E così sta mostrando a tutta la Chiesa un chiaro
esempio di Magistero pratico in una questione liturgica. Poiché la
maggioranza qualificata dei vescovi rifiutò la Comunione nella mano come
qualcosa di nocivo tre anni dopo il Concilio, tanto più lo avrebbero
fattoi Padri conciliari!
C)
La ferita è rappresentata dalle nuove preghiere di Offertorio. Si
tratta di una creazione del tutto nuova e non erano mai state utilizzate
nella Chiesa. Esse non esprimono tanto il mistero del sacrificio della
Croce quanto l’evento di un banchetto e in tal modo ricordano le
preghiere del pasto del sabato ebraico. Nella tradizione più che
millenaria della Chiesa, in Oriente e in Occidente, le preghiere
Offertorio sono sempre stati espressamente orientate al mistero del
sacrificio della Croce (cfr. ad esempio Paul Tirot, Histoire des Prières
d’Offertoire dans la liturgie romaine du VIIème XVIème au siècle [Roma,
1985]). Non vi è dubbio che una tale creazione, assolutamente nuova
contraddice la chiara formulazione del Concilio Vaticano II che afferma:
“novità ne fiant. . . novae formae ex Formis iam exstantibus organice crescant “(Sacrosanctum Concilium, 23).
D)
La quarta ferita è la totale scomparsa del latino nella stragrande
maggioranza delle celebrazioni eucaristiche nella forma ordinaria in
tutti i paesi cattolici. Si tratta di una infrazione diretta contro le
decisioni del Concilio Vaticano II.
E)
La quinta ferita è l’esercizio da parte delle donne dei servizi
liturgici di lettore e di accolito, come pure l’esercizio di questi
stessi servizi in abiti laici, quando, durante la Santa Messa entrano
nel coro direttamente dallo spazio riservato ai fedeli. Questa usanza
non è mai esistita nella Chiesa, o almeno non è mai stato la benvenuta.
Essa conferisce la celebrazione della Messa cattolica il carattere
esterno di informalità, il carattere e lo stile di un gruppo piuttosto
profano. Il Concilio di Nicea, già nel 787, proibiva tali pratiche
quando ha stabilito il canone seguente: “Se qualcuno non è ordinato, non è consentito per lui a fare la lettura dall’ambone durante la santa liturgia”
(can. 14 ). Questa norma è stata costantemente seguita nella Chiesa.
Solo i suddiaconi e i lettori sono stati autorizzati a fare la lettura
durante la liturgia della Messa. Se lettori e accoliti non sono
presenti, uomini o ragazzi con i paramenti liturgici possono farlo, non
le donne, dal momento che il sesso maschile rappresenta simbolicamente
l’ultimo anello di ordini minori dal punto di vista dell’ordinazione non
sacramentale di lettori e accoliti.
I
testi del Vaticano II non parlano della soppressione degli ordini
minori e del suddiaconato o dell’introduzione di nuovi ministeri. Nella
Sacrosanctum Concilium, al n. 28, il Concilio distingue il ministro dal
fedele durante la celebrazione liturgica, e stabilisce che ciascuno può
fare solo ciò che gli compete per la natura della liturgia. Il numero 29
menziona i ministrantes, cioè i chierichetti che non sono stati
ordinati. In contrasto con loro, ci sono, in linea con i termini
giuridici in uso in quel tempo, i Ministri, vale a dire coloro che hanno
ricevuto un ordine, sia esso maggiore o minore.
Il Motu Proprio: Come porre fine alla rottura nella Liturgia
Nel
Motu Proprio Summorum Pontificum, Papa Benedetto XVI stabilisce che le
due forme del rito romano devono essere considerate e trattate con lo
stesso rispetto, perché la Chiesa rimane la stessa prima e dopo il
Concilio. Nella lettera di accompagnamento del Motu Proprio, il Papa
vuole le che due forme si arricchiscano reciprocamente.
Inoltre egli auspica che la nuova forma “sia in grado di dimostrare, più chiaramente di quanto non sia avvenuto finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso“.
Quattro
delle ferite liturgiche, o pratiche sfortunate (celebrazione versus
populum, comunione nella mano, totale abbandono del latino e del canto
gregoriano, e intervento delle donne per il servizio di lettore e di
accolito), non hanno in sé e per sé nulla a che fare con la forma
ordinaria della Messa ed inoltre sono in contraddizione con i principi
liturgica del Vaticano II. Se fossero abolite queste pratiche si
tornerebbe al vero insegnamento del Concilio Vaticano II. E poi, le due
forme del rito romano, verrebbero ad essere considerate assai più
vicine, e così la forma straordinaria e la nuova evangelizzazione
poiché, almeno esternamente, non si parlerebbe di alcuna rottura né
apparirebbe alcuna rottura nella Chiesa tra il pre e il postconcilio.
Per
quanto riguarda le nuove preghiere dell’Offertorio, sarebbe auspicabile
che la Santa Sede le sostituisse con le preghiere corrispondenti della
forma straordinaria, o almeno consentisse l’uso di quest’ultimo ad
libitum. In questo modo la rottura tra le due forme sarebbe evitata non
solo esternamente ma anche internamente. La rottura nella liturgia è
proprio ciò che i Padri conciliari non volevano. I verbali del Concilio
attestano questo, perché nel corso dei duemila anni di storia della
liturgia, non c’è mai stata una rottura liturgica e, di conseguenza, non
ci può essere. D’altra parte deve esserci continuità, così come si
conviene per il Magistero.
Le
cinque piaghe del corpo liturgico della Chiesa che ho menzionato
gridano per la guarigione. Esse rappresentano una rottura che si può
confrontare con l’esilio ad Avignone.
La
situazione di una rottura così forte in un’espressione della vita della
Chiesa è ben lungi dall’essere irrilevante, allora con l’assenza dei
papi da Roma, oggi lcon a rottura visibile tra la liturgia prima e dopo
il Concilio. Questa situazione grida in effetti, per la guarigione. Per
questo motivo abbiamo bisogno di nuovi santi oggi, di una o più Sante
Caterina di Siena.
Abbiamo
bisogno di vox populi fidelis che richiedano la soppressione di questa
rottura liturgica. La tragedia in tutto questo è che, oggi come i nel
tempo dell’esilio di Avignone, la grande maggioranza del clero,
soprattutto nei suoi ranghi più alti, è contenta di questa rottura.
Prima
che ci si possano aspettare frutti efficaci e duraturi dalla nuova
evangelizzazione, deve avere corso all’interno della Chiesa un processo
di conversione. Come possiamo chiamare gli altri alla conversione
quando, tra coloro che hanno risposto alla vocazione, non si è ancora
verificata una convincente conversione nei confronti di Dio,
internamente o esternamente? Il sacrificio della Messa, il sacrificio di
adorazione di Cristo, il più grande mistero della Fede, l’atto più
sublime di adorazione si celebra in un circolo chiuso, in cui le persone
si cercano a vicenda.
Quello
che manca è la conversio ad Dominum. È necessaria, anche esternamente e
fisicamente, dal momento che nella liturgia Cristo è trattata come se
non fosse Dio, e non Gli sono rivolti chiari segni esteriori
dell’adorazione che è dovuta a Dio solo, perché i fedeli ricevono la
Santa Comunione in piedi e, per giunta, la prendono in mano come un
qualsiasi altro alimento, l’afferrano con le dita e la portano in bocca.
Vi è qui una sorta di arianesimo o semi-arianesimo eucaristico.
Una
delle condizioni necessarie per una nuova e fruttuosa evangelizzazione
sarebbe la testimonianza di tutta la Chiesa nel culto liturgico
pubblico. Dovrebbero essere osservati almeno questi due aspetti del
culto divino:
1)
Che la Santa Messa sia celebrata in tutto il mondo, anche in forma
ordinaria, in una conversio ad Dominum interna e quindi necessariamente
anche esterna .
2)
Che i fedeli si inginocchino davanti a Cristo al momento della Santa
Comunione, come san Paolo chiede quando si fa menzione del nome o della
persona di Cristo (Fil 2,10), e che lo ricevano con l’amore più grande e
il più grande rispetto possibile, come si addice a Lui come Dio vero.
Grazie
a Dio, Benedetto XVI ha preso due misure concrete per avviare il
processo di un ritorno dall’esilio di Avignone della liturgia, cioè, il
Motu Proprio Summorum Pontificum e la reintroduzione del tradizionale
rito della Comunione.
Vi
è ancora bisogno di molte preghiere e forse di una nuovo santa Caterina
da Siena per le altre misure da adottare al fine di guarire le cinque
piaghe sul corpo liturgico e mistico della Chiesa e perché Dio sia
venerato nella liturgia con quell’amore, quel rispetto, quel senso del
sublime che da sempre sono le caratteristiche della Chiesa e del suo
insegnamento, in particolare nel Concilio di Trento, nell’enciclica
Mediator Dei di Papa Pio XII, nella Costituzione Sacrosanctum Concilium
del Vaticano II e nella teologia della liturgia di Papa Benedetto XVI,
nel suo magistero liturgico, e nel Motu proprio di cui sopra.
Nessuno
può evangelizzare a meno che non abbia adorato, o meglio ancora a meno
che non adori costantemente e doni Dio, Cristo nell’Eucaristia, vera
priorità nel suo modo di celebrare e in tutta la sua vita. Infatti, per
citare il cardinale Joseph Ratzinger: “E’ nel trattamento della liturgia che si decide il destino della fede e della Chiesa.“
da “The Latin Mass Magazine” vol. 21 n. 2, estate 2012.