Sull'altare maggiore il tabernacolo era come il cuore spirituale e spaziale della Chiesa
di p. Uwe Michael Lang
foto: Duomo di Siena, Tabernacolo di Lorenzo di Pietro, detto "Il Vecchietta"
Tamquam cor in pectore: il tabernacolo eucaristico prima e dopo il Concilio di Trento
"Il tabernacolo sull'altare maggiore era come il cuore spirituale e spaziale della Chiesa"
di p. Uwe Michael Lang
Negli ultimi anni la ricerca storica ha dedicato notevole attenzione al rapporto che esiste tra liturgia e architettura. Molti studiosi si sono concentrati sulla tarda antichità e sul Medio Evo, ma l'interesse si sta volgendo anche verso i periodi del Rinascimento e della Riforma cattolica prima e dopo il Concilio di Trento (1545 - 1563), come risulta evidente dagli atti di una conferenza tenuta al Kunsthistorisches Institut a Firenze nel 2003. Il redattore del volume, Joerg Stabenow, identifica due sviluppi principali che trasformarono gl'interni tipici delle chiese nei secoli XV e XVI.
Il primo rimosse quegli elementi che dividevano l'edificio sacro in diverse sezioni, creando così uno spazio unificato. Per contrasto, si strutturarono le chiese medievali con un complesso sistema di pareti divisorie, soprattutto la cancellata che separava la navata dal coro. Il secondo interessò il tabernacolo che, collocato in posizione centrale sull'altare maggiore, venne adottato come forma ordinaria di riserva eucaristica, divenendo il punto focale dell'architettura sacra di stile barocco.
Il termine "tabernaculum" era già usato nel Medio Evo per indicare il ricettacolo per il Santissimo Sacramento. Guglielmo Durando rileva nel suo libro "Rationale divinorum officiorum" del 1282 - e che ebbe un grande influsso nel suo tempo - che, a imitazione dell'Arca dell'Alleanza e della Tenda del convegno (Esodo 25 -26, 33, 7 -11 e altrove), "in alcune chiese è posta un'arca o tabernacolo (archa seu tabernaculum), in cui si custodisce il Corpo del Signore con reliquie". L'associazione biblica è significativa, poiché la Tenda del convegno rappresentava la presenza di Dio fra il popolo d'Israele nel deserto. Inoltre, il prologo del Vangelo di Giovanni afferma che il Verbo divino " si fece carne e venne ad abitare (letteralmente: "piantò la sua tenda") in mezzo a noi" (Gv. 1, 14). Infine, nell'Apocalisse viene evocata la Gerusalemme celeste con le parole: "Ecco la tenda di Dio con gli uomini!", che nella Vulgata latina recita: "Ecce tabernaculum Dei cum hominibus!" (Ap. 21, 3).
L'ubicazione di un tabernacolo eucaristico fisso sull'altare maggiore è generalmente associata alle riforme liturgiche che si effettuarono dopo il Concilio di Trento, soprattutto da parte di San Carlo Borromeo, i cui sforzi per rinnovare la vita religiosa nella sua Arcidiocesi di Milano divennero esemplari per tutta la Chiesa Cattolica. Tuttavia, tale pratica era già stata promossa da Vescovi riformatori prima di Trento e si può rintracciare nella Toscana del XV secolo.
In diverse chiese di questa regione italiana erano stati introdotti tabernacoli su altare maggiore, come la cattedrale di Volterra (1471) e la cattedrale di Prato (1487); forse l'esempio più noto è il trasferimento del vecchio tabernacolo del Vecchietta all'altare maggiore della Cattedrale di Siena nel 1506, dove prese il posto della "Maestà" di Duccio. La nuova disposizione fu vigorosamente promossa da Gian Matteo Giberti, Vescovo di Verona dal 1524 al 1543. Le "Consitutiones" di Giberti, pubblicate nel 1542 con l'approvazione di Papa Paolo III, miravano ad una riforma della vita ecclesiastica nella sua diocesi e anticiparono in molti modi gli sviluppi post-tridentini.
Una parte importante del programma pastorale di Giberti era proprio la collocazione della riserva del Santissimo Sacramento sull'altare maggiore al centro della chiesa, dove veniva esposto alla venerazione di clero e laici. Nelle sue "Consitutiones" scriveva il vescovo, evocando vari versetti di salmi: "E come gli occhi di una schiava alla mano della sua padrona (Ps. 123, 2), così siano gli occhi di coloro che stanno intorno alla mensa del Signore (Ps. 128, 3), rivolti sempre con timore e tremore verso l'altissimo e preziosissimo sacramento, che è lì sull'altare maggiore; piangano di gioia e si rallegrino piamente nelle loro lacrime, e vedranno com'è buono il Signore (cfr. Ps. 34, 9)".
Con uno schema simile, Pier Francesco Zini nella sua biografia del Giberti, pubblicata a Venezia nel 1555 col titolo "Boni pastoris exemplum ac specimen singulare", scrive che il tabernacolo sull'altare maggiore trova una posizione che è "come il cuore nel petto" (tamquam cor in pectore). Si voleva che il tabernacolo fosse il cuore della chiesa sia in senso spaziale che spirituale. Giberti applicò questo principio alla sua cattedrale di Verona e lo prescrisse per tutte le Chiese parrocchiali della sua Diocesi.
Il Concilio di Trento, che si celebrò dal 1545 al 1563, non diede alcuna direttiva specifica sull'architettura e gli arredi delle Chiese. Tuttavia i decreti conciliari, affermando il tradizionale insegnamento della Chiesa, diedero chiare indicazioni teologiche sulla costruzione delle nuove Chiese e sulla ristrutturazione di quelle già esistenti. I canoni del Decreto sull'Eucaristia, datato 11 ottobre 1551, frutto della XIII sessione del Concilio, riconfermarono la posizione cattolica di fronte alla critica protestante, soprattutto quella di Martin Lutero che sosteneva che Cristo era presente nel sacramento dell'Eucaristia soltanto durante la vera e propria celebrazione liturgica, quando veniva ricevuto con fede dai comunicandi.
I canoni tridentini ribadirono la dottrina del IV Concilio Laterano del 1215 sulla presenza reale e permanente di Cristo sotto la forma del pane e del vino dopo la loro consacrazione da parte del sacerdote. Ne consegue la necessità di una custodia appropriata e sicura delle ostie consacrate dopo la Messa, utilizzate anche per portare la Santa Comunione agli ammalati. Il canone sette parla in termini apparentemente generali della riserva della Santissima Eucaristia "in sacrario". Nell'uso medievale, il termine "sacrarium" poteva indicare qualsiasi luogo per la riserva eucaristica, compresa la sacrestia. Comunque, nel contesto di Trento, si può ritenere che molti Padri conciliari intendessero per "sacrarium" il tabernacolo d'altare. Un'interpretazione che era già corrente, come si evince dal Sinodo convocato dal Cardinale Reginald Pole, Legato della Santa Sede in Inghilterra, e tenuto a Westminster nel dicembre del 1555 e gennaio del 1556. Il sinodo decretò che la Santissima Eucaristia dovesse essere custodita "o al centro dell'altare o alla sua estremità".
Il Concilio di Trento accentuò anche il ruolo dei vescovi nel realizzare le riforme ecclesiastiche e dispose la pubblicazione di libri liturgici revisionati, opera che fu condotta dai papi negli anni successivi. Tali fattori portarono ad una standardizzazione della vita liturgica, che fece sì che il nuovo modo di ccustodire l'Eucaristia sull'altare maggiore si diffondesse in tutto il mondo cattolico.
Gli storici si sono spesso concentrati sul contributo dato da San Carlo Borromeo (1538 - 1584) allo sviluppo dell'architettura e degli arredi sacri post-tridentini. Borromeo è stato presentato come un modello di Vescovo riformatore, ponendo in atto i decreti tridentini nell'Arcidiocesi di Milano con diligenza esemplare. Senza ridurre il ruolo di questo grande Vescovo, sembrebbe appropriato collocare il suo operato in un più ampio contesto culturale. Il tabernacolo sull'altare maggiore non fu affatto un'innovazione del Borromeo, abbiamo visto infatti che il pensiero teologico che sosteneva tale pratica era già in circolazione da diverso tempo.
Le idee del Borromeo sull'architettura sacra sono espresse in modo succinto nelle sue "Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae" del 1577, composto da un gruppo di autori sotto i suoi auspici. Sulla questione della riserva eucaristica, le "Instructiones" si riferiscono ai decreti del primo Sinodo provinciale di Milano tenuto nel 1565, che stabiliva che in tutte le chiese in cui si custodiva il Santissimo Sacramento, compresa la Cattedrale, questo fosse collocato sull'altare maggiore, a meno che un caso di necessità o una grave ragione non lo impedissero.
L'Arcivescovo di Milano diede l'esempio trasferendo il Santissimo Sacramento dalla sacrestia all'altare maggiore della sua Cattedrale. Le "Instructiones" del Borromeo furono largamente recepite nel periodo post-tridentino, mentre vi era ancora qualche flessibilità sul luogo della riserva eucaristica. Vale la pena notare che il "Cerimoniale Episcoporum" del 1600 raccomandava che il Santissimo Sacramento non si tenesse sull'altare maggiore o su altro altare al quale il vescovo dovesse celebrare la Messa solenne o i Vespri. Tuttavia, non penso che ciò indichi una critica del tabernacolo sull'altare maggiore, come invece ritiene Christoph Jobst nel suo studio magistrale sul tema. La prescrizione non riguarda la disposizione generale della Chiesa, ma le rubriche di celebrazioni specifiche. Al massimo, si potrebbe dedurre che nelle liturgie pontificali si riflettesse l'antica consuetudine della riserva eucaristica separata dall'altare.
Il rituale romano del 1614 ha un paragrafo pertinente nei "Praenotanda" sul Santissimo Sacramento dell'Eucaristia, che recita: "Il tabernacolo sia opportunamente coperto da un baldacchino, e null'altro vi sia contenuto. Sia collocato sull'altare maggiore o su altro altare dove si possa vedere facilmente e possa così rendersi degna adorazione a questo grande Sacramento".
Anche qui c'è flessibilità sulla ubicazione del tabernacolo: può stare sull'altare maggiore o su altro altare della Chiesa che sia appropriato per la venerazione del Sacramento. Istruzioni simili si possono trovare negli atti di molti Sinodi diocesani e provinciali tenutisi nella prima metà del secolo XVII. Per esempio, il Sinodo di Costanza nel 1609 decretò che il Santissimo Sacramento fosse custodito " o sull'altare stesso, secondo l'uso romano, o alla sinistra del coro presso l'altare". In ogni modo, l'ubicazione del tabernacolo sull'altare principale secondo "l'uso romano" fu adottato gradualmente in tutta Europa come parte della Riforma tridentina.
A questo sviluppo contribuì una serie di fattori: innanzi tutto, la chiara e sicura riaffermazione del Concilio della dottrina cattolica della presenza reale di fronte alla critica protestante; secondariamente, la crescente popolarità delle devozioni eucaristiche (Benedizione col Santissimo Sacramento, processioni eucaristiche, la devozione delle Quarantore); in terzo luogo, la fioritura dell'arte e architettura barocche non solo in Europa ma in tutto il mondo cattolico, con un'attenzione speciale nell'esprimere visibilmente le verità di fede, soprattutto la presenza reale; e per ultimo, la standardizzazione dei libri liturgici dopo il Concilio di Trento, con la pratica romana presa a modello per l'intera Chiesa.
E' evidente che tale sviluppo, visto nel suo contesto culturale e artistico, non ebbe inizio con il Concilio di Trento, ma fu parte di una tendenza comune nel Rinascimento e nell'architettura sacra barocca di creare uno spazio unificato, nel quale il tabernacolo sull'altare maggiore era effettivamente, secondo le parole del biografo del Giberti, "tamquam cor in pectore".
The Institute of Sacred Architecture, vol. 15 - spring 2009
traduzione italiana a cura di d. Giorgio Rizzieri
(12/08/2012)