QUICUMQUE VULT SALVUS ESSE, ANTE OMNIA OPUS EST, UT TENEAT CATHOLICAM FIDEM

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giovedì 13 settembre 2012

Esaltazione della Croce e Maria Addolorata


Dalla Liturgia delle Ore, per la Festa della Esaltazione della Croce, Preghiamo e facciamo RUMINATIO, ossia meditazione...

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 10 sull'Esaltazione della santa croce; PG 97, 1018-1019. 1022-1023).

La croce è gloria ed esaltazione di Cristo

Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.

Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell'albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l'inferno non sarebbe stato spogliato.

È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell'inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l'universo.

La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e subito lo glorificherà » (Gv 13,31-32).
E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12,28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: «Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.

Responsorio   
R. Croce gloriosa, dai tuoi rami pendeva il prezzo della nostra libertà; * per mezzo tuo il mondo è redento con il sangue del Signore.
V. Salve, croce, consacrata dal corpo di Cristo; le sue membra su di te risplendono come gemme;
R. per mezzo tuo il mondo è redento con il sangue del Signore.


Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem, * omnis terra venerátur.
Tibi omnes ángeli, * tibi cæli et univérsæ potestátes:
tibi chérubim et séraphim * incessábili voce proclámant:

Sanctus, * Sanctus, * Sanctus * Dóminus Deus Sábaoth.
Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuæ.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
te prophetárum * laudábilis númerus,
te mártyrum candidátus * laudat exércitus.

Te per orbem terrárum * sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ maiestátis;
venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.

Tu rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Fílius.
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, * non horruísti Vírginis úterum.
Tu, devícto mortis acúleo, * aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.

Te ergo quæsumus, tuis fámulis súbveni, * quos pretióso sánguine redemísti.
Aetérna fac cum sanctis tuis * in glória numerári.
Salvum fac pópulum tuum, Dómine, * et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te;
et laudámus nomen tuum in sæculum, * et in sæculum sæculi.

Dignáre, Dómine, die isto * sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, * quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: * non confúndar in ætérnum








Il santo Padre Benedetto XVI, ha ricordato in questi anni  la festa dell’Esaltazione della Santa Croce e il giorno seguente la Madonna Addolorata con queste parole:

“Cari amici, domani celebreremo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, e il giorno seguente la Madonna Addolorata.La Vergine Maria, che credette alla Parola del Signore, non perse la sua fede in Dio quando vide il suo Figlio respinto, oltraggiato e messo in croce. Rimase piuttosto accanto a Gesù, soffrendo e pregando, fino alla fine. E vide l’alba radiosa della sua Risurrezione. Impariamo da Lei a testimoniare la nostra fede con una vita di umile servizio, pronti a pagare di persona per rimanere fedeli al Vangelo della carità e della verità, certi che nulla va perso di quanto facciamo”. (Angelus 14.9.2009)
Una ricorrenza, ha detto il Papa all’Angelus, che ci spinge a “testimoniare la nostra fede con una vita di umile servizio, pronti a pagare di persona per rimanere fedeli al Vangelo della carità e della verità”.

Ripercorriamo alcuni insegnamenti di Benedetto XVI sulla centralità della Croce nella vita di ogni cristiano:

“Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte”
 “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!”, esortava Sant’Agostino.
La Chiesa, afferma il Pontefice, ci invita “ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini”, il segno della Croce è “il gesto fondamentale della preghiera del cristiano”:
 “Segnare se stessi con il segno della Croce è pronunciare un sì visibile e pubblico a Colui che è morto per noi e che è risorto, al Dio che nell’umiltà e debolezza del suo amore è l’Onnipotente, più forte di tutta la potenza e l’intelligenza del mondo” (Angelus, 11 settembre 2005).

“Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro”, affermava Sant’Andrea di Creta. Eppure, per il mondo la Croce è scandalo, un patibolo infamante. Ma, spiega il Papa, i cristiani “non esaltano una qualsiasi croce, ma quella Croce che Gesù ha santificato con il suo sacrificio, frutto e testimonianza di un immenso amore”:
 “Cristo sulla Croce ha versato tutto il suo sangue per liberare l'umanità dalla schiavitù del peccato e della morte. Perciò, da segno di maledizione, la Croce è stata trasformata in segno di benedizione, da simbolo di morte in simbolo per eccellenza dell'Amore che vince l'odio e la violenza e genera la vita immortale” (Angelus, 17 settembre 2006).

Benedetto XVI sottolinea inoltre il legame indissolubile tra la celebrazione eucaristica e il mistero della Croce, binomio ribadito nell’Esortazione post-sinodale “Sacramentum Caritatis”:
“L’Eucaristia è mistero di morte e di gloria come la Croce, che non è un incidente di percorso, ma il passaggio attraverso cui Cristo è entrato nella sua gloria (cfr Lc 24,26) e ha riconciliato l’umanità intera, sconfiggendo ogni inimicizia”. (Angelus, 11 settembre 2005)

“Maria, presente sul Calvario presso la Croce – sottolinea Benedetto XVI – è ugualmente presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre celebrazioni eucaristiche”. Per questo, nessuno meglio di Maria può “insegnarci a comprendere e vivere con fede e amore la Santa Messa”:
 “Quando riceviamo la santa Comunione anche noi, come Maria e a lei uniti, ci stringiamo al legno, che Gesù col suo amore ha trasformato in strumento di salvezza, e pronunciamo il nostro 'Amen', il nostro 'sì' all’Amore crocifisso e risorto”. (Angelus, 11 settembre 2005)

Ecco perché alla Festa dell’Esaltazione della Santa Croce è strettamente legata la memoria liturgica della Madonna Addolorata che si celebra il giorno dopo. “Il suo dolore forma un tutt’uno con quello del Figlio”, ma - afferma il Papa -, è “un dolore pieno di fede e di amore”. Sul Calvario, infatti, la Vergine partecipa alla potenza salvifica del dolore di Cristo, “congiungendo il suo ‘fiat’, il suo ‘sì’ a quello del Figlio”:
 “Spiritualmente uniti alla Madonna Addolorata, rinnoviamo anche noi il nostro ‘sì’ al Dio che ha scelto la via della Croce per salvarci. Si tratta di un grande mistero che è ancora in atto, fino alla fine del mondo, e che chiede anche la nostra collaborazione. Ci aiuti Maria a prendere ogni giorno la nostra croce e a seguire fedelmente Gesù sulla via dell'obbedienza, del sacrificio e dell'amore”. (Angelus, 17 settembre 2006)


Seconda Lettura dalla Liturgia delle Ore Festa della Beata Vergine Addolorata

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate (Disc. nella domenica fra l'ottava dell'Assunzione 14-15; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 273-274)

La Madre di Gesù stava presso la croce

Il martirio della Vergine viene celebrato tanto nella profezia di Simeone, quanto nella storia stessa della passione del Signore. Egli è posto, dice del bambino Gesù il santo vegliardo, quale segno di contraddizione, e una spada, dice poi rivolgendosi a Maria, trapasserà la tua stessa anima (cfr. Lc 2,34-35)

Una spada ha trapassato veramente la tua anima, o santa Madre nostra! Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l'anima della Madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti, ma specialmente tuo, era spirato, la lancia crudele non poté arrivare alla sua anima.

Quando, infatti, non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te sì. A te trapassò l'anima. L'anima di lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza del dolore trapassò la tua anima, e così non senza ragione ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio, superò di molto, nell'intensità, le sofferenze fisiche del martirio.

Non fu forse per te più che una spada quella parola che davvero trapassò l'anima ed arrivò fino a dividere anima e spirito? Ti fu detto infatti: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19,26). Quale scambio! Ti viene dato Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del maestro, il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero. Come l'ascolto di queste parole non avrebbe trapassato la tua anima tanto sensibile, quando il solo ricordo riesce a spezzare anche i nostri cuori, che pure sono di pietra e di ferro?

Non meravigliatevi, o fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. Si meravigli piuttosto colui che non ricorda d'aver sentito Paolo includere tra le più grandi colpe dei pagani che essi furono privi di affetto. Questa colpa è stata ben lontana dal cuore di Maria, e sia ben lontana anche da quello dei suoi umili devoti.

Qualcuno potrebbe forse obiettare: Ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo. Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia. E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente in modo veramente terribile. Del resto chi sei mai tu, fratello, e quale strano genere di sapienza è il tuo, se ti meravigli della solidarietà nel dolore della Madre col Figlio, più che del dolore del Figlio stesso di Maria? Egli ha potuto morire anche nel corpo, e questa non ha potuto morire con lui nel suo cuore? Nel Figlio operò l'amore superiore a ogni altro amore. Nella Madre operò l'amore, al quale dopo quello di Cristo nessun altro amore si può paragonare.

Responsorio Cfr. Lc 23, 33; Gv 19, 25; Lc 2, 35
R. Quando giunsero sull'altura del Calvario, lo crocifissero. * Presso la croce di Gesù stava sua madre.
V. La spada del dolore trafisse la sua anima.
R. Presso la croce di Gesù stava sua madre.

Orazione
O Dio, tu hai voluto che accanto al tuo Figlio, innalzato sulla croce, fosse presente la sua Madre Addolorata: fa' che la tua santa Chiesa, associata con lei alla passione del Cristo, partecipi alla gloria della risurrezione. Egli è Dio e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

R. Amen.
Benediciamo il Signore.
R. Rendiamo grazie a Dio.



venerdì 7 settembre 2012

Salita del Monte Carmelo S.Giovanni della Croce




San Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa
Salita del Monte Carmelo

Capitolo IV
Ove si spiega quanto sia necessario all’anima attraversare realmente questa notte oscura, che consiste nella mortificazione dei sensi, al fine d’incamminarsi verso l’unione con Dio.


1. Per attingere l’unione con Dio è necessario che l’anima passi attraverso questa notte oscura, cioè attraverso la mortificazione degli appetiti e la rinuncia a tutti i piaceri derivanti dai beni sensibili, per il seguente motivo: tutte le affezioni che nutre per le creature sono tenebre fitte dinanzi a Dio. Fino a quando l’anima ne è avvolta, non potrà essere illuminata e posseduta dalla pura e semplice luce di Dio. Essa deve, dunque, per prima cosa, liberarsene, perché la luce non può stare insieme alle tenebre. San Giovanni, infatti, afferma: Tenebrae eam non comprehenderunt, cioè: Le tenebre non poterono accogliere la luce (Gv 1,5).

2. La ragione di ciò, secondo quanto insegna la filosofia, sta nel fatto che due contrari non possono coesistere in uno stesso soggetto. Ora, le tenebre, cioè l’attaccamento che si ha per le creature, e la luce, che è Dio, sono contrari e tra loro non vi è alcuna somiglianza o rapporto di sorta, come insegna Paolo rivolgendosi ai Corinzi: Quae conventio lucis ad tenebras?, cioè: Quale rapporto vi può essere tra la luce e le tenebre? (2Cor 6,14). Ne segue che la luce della divina unione non può stabilirsi in un’anima, se prima questa non si libera da tutte le sue affezioni.

3. Per provare meglio quanto ho detto, occorre ricordare che l’affezione e l’attaccamento che l’anima nutre per le creature la rendono simile a queste, e quanto più grande è l’affezione tanto più essa è resa uguale e simile, perché l’amore crea somiglianza tra chi ama e l’oggetto amato. Per questo motivo Davide, parlando di quelli che riponevano il loro affetto negli idoli, disse: Similis illis fiant qui faciunt ea, et omnes qui confidunt in eis, cioè: Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida (Sal 113,8). Chi ama, quindi, la creatura, si pone al livello della creatura e, in qualche modo, anche più in basso, perché l’amore non solo rende uguali, ma assoggetta l’amante all’oggetto amato. Così, quando l’anima ama qualcosa al di fuori di Dio, si rende incapace della pure unione con Dio e della trasformazione in lui. La bassezza delle creature è, infatti, distante dalla grandezza del Creatore molto più che le tenebre dalla luce. Tutte le cose della terra e del cielo, paragonate a Dio, sono un nulla, secondo quanto afferma Geremia: Aspexi terram, et ecce vacua erat et nihil; et caelos, et non erat lux in eis: Guardai la terra, ed ecco solitudine e vuoto; i cieli, e non v’era luce (Ger 4,23). Quando il profeta dice di aver veduto la terra vuota, vuol far capire che tutte le creature della terra e la stessa terra sono un nulla; quando dice di aver guardato i cieli e di averli visti senza luce, vuol dire che tutte le fonti di luce del cielo, paragonate a Dio, sono pura tenebra. Di conseguenza si può affermare che, se tutte le cose create sono un nulla e l’affezione che l’anima nutre per esse è meno di nulla, esse costituiscono un ostacolo e non permettono la nostra trasformazione in Dio. Difatti le tenebre sono nulla e meno di nulla perché sono una privazione della luce. Pertanto, come chi è avvolto dalle tenebre non può accogliere la luce, così non può accogliere Dio l’anima che ripone la sua affezione nelle cose create; finché non se ne sarà distaccata, non potrà possederlo quaggiù per trasformazione pura d’amore, né lassù mediante la visione beatifica. Per maggior chiarezza parlerò di ciò più diffusamente.

4. Tutte le cose create, paragonate all’infinito essere di Dio, sono un nulla. Perciò anche l’anima che ripone in esse il suo affetto, di fronte a Dio è nulla e meno di nulla, perché, come ho detto, l’amore non solo crea uguaglianza e somiglianza, ma colloca colui che ama al di sotto dell’oggetto amato. In nessun modo, quindi, quest’anima potrà unirsi all’essere infinito di Dio, poiché il non essere non può stare assieme all’essere. Offro alcune esemplificazioni per maggior concretezza. Tutta la bellezza delle creature, paragonata a quella infinita di Dio, è infima bruttezza, come afferma Salomone nel libro dei Proverbi: Fallax gratia, et vana est pulchritudo: Fallace è la grazia e vana la bellezza (Pro 31,30). Così, l’anima, che è attaccata alla bellezza di qualsiasi creatura, è estremamente brutta dinanzi a Dio. Pertanto quest’anima che è brutta non potrà trasformarsi nella bellezza divina, dal momento che la bruttezza non può stare assieme alla bellezza. Ogni grazia e gentilezza delle creature, a confronto con quelle di Dio, sono estrema villania e rozzezza. Perciò l’anima che si affezione alle grazie e alle gentilezze delle creature è estremamente grossolana e scortese; non potrà, quindi, essere capace della grazia e delle bellezza infinita di Dio, perché chi è senza grazia è infinitamente distante da Colui che è la stessa grazia. Ogni bontà delle creature di questo mondo, paragonata a quella infinita di Dio, potrebbe essere chiamata malizia. Solo Dio, infatti, è buono (Lc 18,19). L’anima, quindi, che ripone il suo affetti nei beni di questo mondo, è sommamente cattiva di fronte a Dio. Pertanto, come la malizia non può contenere la bontà, così quell’anima non potrà unirsi a Dio somma bontà. Tutta la sapienza del mondo e la scienza degli uomini, paragonate alla sapienza infinita di Dio, sono pura e somma ignoranza, come scrive san Paolo ai Corinzi: Sapientia huius mundi stultitia est apud Deum: La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio (1Cor 3,19).

5. Perciò ogni persona che si appoggiasse sulla propria scienza e capacità per giungere all’unione con Dio, sarebbe sommamente ignorante di fronte a Dio, dalla cui sapienza resterà molto distante. L’ignoranza, infatti, non sa cosa sia la sapienza, come afferma san Paolo, dal momento che tale sapienza è stoltezza agli occhi di Dio. Difatti coloro che si ritengono sapienti sono molto ignoranti davanti a Dio. Di essi dice così l’Apostolo, scrivendo ai Romani: Dicentes enim se esse sapientes stulti facti sunt, cioè: Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti (Rm 1,22). Soltanto coloro che si fanno piccoli e ignoranti possiedono la sapienza divina. Messo da parte il loro sapere, servono Dio con amore. Tale genere di sapienza insegna lo stesso Paolo quando scrive ai Corinzi: Si quis videtur inter vos sapiens esse in hoc saeculo, stultus fiat ut sit sapiens; sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum, cioè: Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente; perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio (1Cor 3,18-19). L’anima, quindi, per arrivare a possedere la sapienza di Dio, deve passare attraverso il non sapere e non attraverso il sapere.

6. Ogni genere di dominio e di libertà del mondo, paragonati con la libertà e il dominio dello spirito di Dio, sono somma soggezione, angoscia e schiavitù. Perciò l’anima che si attacca agli onori o ad altre cose del genere e che cerca libertà per le sue affezioni, è da Dio considerata e trattata non come figlia, ma come persona infima, prigioniera delle sue passioni. In realtà non ha voluto seguire i dettami del Signore che c’insegna così: chi vuol essere il più grande si faccia il più piccolo e chi vuole essere piccolo sarà fatto grande (cfr. Lc 22,26). L’anima, quindi non potrà pervenire alla vera libertà di spirito, raggiungibile nell’unione divina, perché la schiavitù è assolutamente incompatibile con la libertà; quest’ultima, a sua volta, non può abitare in un cuore libero, come quello del figlio. Per questo motivo Sara chiese a suo marito Abramo di cacciare via la schiava insieme a suo figlio, affermando che questi non poteva essere erede insieme al figlio della donna libera (Gn 21,10).

7. Tutti i piaceri e le dolcezze che la volontà prova nei beni creati, paragonati con quelli di Dio, sono soltanto pena, tormento e amarezza. Chi, dunque, ripone in essi il proprio affetto, è ritenuto degno di massima pena, di tormento e di amarezza dinanzi a Dio. In questo modo, egli non potrà pervenire alle gioie dell’unione con Dio. Tutte le ricchezze e la gloria del creato, messe a confronto con la ricchezza che è Dio, sono povertà e miseria estrema. L’anima che le ama e le possiede è estremamente povera e miserabile di fronte a Dio. Per questo motivo non potrà pervenire al vero stato di ricchezza e di gloria, che consiste nella trasformazione in Dio, perché la sua miseria e la sua povertà distano infinitamente da Colui che è sommamente ricco e glorioso.

8. La Sapienza divina, dolendosi, perciò, di queste persone che si abbrutiscono, si fanno spregevoli, miserabili e poveri per amore di ciò che nel mondo ritengono bello e ricco, nel libro dei Proverbi li apostrofa dicendo: O viri, ad vos clamito, et vox mea ad filios hominum. Intelligite parvuli astutiam, et insipientes animadvertite. Audite, quia de rebus magnis locutura sum. E più avanti aggiunge: Mecum sunt divitiae et gloria, opes superbae et iustitia. Melior est fructus meus auro et lapide pretioso, et genimina mea argento electo. In viis iustitiae ambulo, in medio semitarum iudicii, ut ditem diligentes me, et thesauros eorum repleam. Il che vuol dire: A voi, uomini, io mi rivolgo, ai figli dell’uomo è diretta la mia voce. Imparate, inesperti, la prudenza, e voi, stolti, fatevi assennati. Ascoltate, perché dirò cose elevate… Presso di me c’è ricchezza e onore, sicuro benessere ed equità. Il mio frutto vale più dell’oro, dell’oro fino, il provento (e le mie generazioni, ossia ciò che voi generate per mezzo mio nelle vostre anime) più dell’argento scelto. Io cammino sulla via della giustizia e per i sentieri dell’equità, per dotare di beni quanti mi amano e riempire i loro forzieri (Pro 8,4-6.18-21). Con tali parole la Sapienza divina si rivolge a tutti quelli che ripongono il loro cuore e l’affetto in qualunque bene creato, come ho già detto. Li chiama piccoli, inesperti, perché si rendono simili a ciò che amano, che è poca cosa. Per questo li avverte di essere prudenti e di prendere in considerazione le grandi cose di cui essa parla, e non le cose piccole come sono loro. Continua col dire che le grandi ricchezze e la gloria che essi amano si trovano non dove essi pensano, ma con e nella sapienza, ove abitano, altresì, le vere ricchezze e la giustizia. E se i tesori di questo mondo a loro sembrano superiori a qualunque altro bene, essa li invita a considerare che sono migliori i suoi tesori, perché il frutto che troveranno in questi ultimi sarà migliore dell’oro e delle pietre preziose. Aggiunge, infine, che quanto essa genera nelle anime è di gran lunga superiore all’argento puro che essi amano, cose che rappresentano ogni genere di affetto che si può nutrire in questa vita.



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sabato 1 settembre 2012

L'Anima dell'apostolato libro scaricabile qui

R. P. Chautard - L’Anima dell’Apostolato

 
R. P. Chautard - L’Anima dell’ApostolatoDatomi all’Azione Cattolica fin dai primi anni della mia vita ecclesiastica, notai ben presto che il più valido aiuto mi veniva da coloro che, sebbene laici, erano stati formati nello spirito da un vecchio Sacerdote, il quale non aveva molta coltura, ma aveva però molta pietà, e passava tutto il suo tempo in una piccola chiesa, ove, con istruzioni sacre in forma molto semplice, e col promuovere la frequenza dei Sacramenti, lavorava con zelo in prò delle anime. 
Alla scuola di quel pio Sacerdote imparai anch'io la necessità che avevo di ritemprare spesso lo spirito con gli Esercizi Spirituali, e di ricorrere frequentemente all’orazione per raccogliere dall’operosità quel frutto che ardentemente bramavo. Capii quindi fin d'allora che l'Azione Cattolica, mentre è commendevole sotto molti rispetti, può tuttavia divenire facilmente per tutti (anche pei Sacerdoti) sorgente di dissipazione, se chi la esercita non attende seriamente a coltivare anzitutto lo spirito in sè e negli altri.

Divenuto poi Vescovo, nel governo della Diocesi questa verità mi apparve sempre più evidente, e deplorai che, per non avere tenuto nel debito conto un principio così essenziale, fossero le tante volte e in tanti luoghi riuscite sterili le fatiche ed inutili i vari mezzi adoperati per dar vita o incremento all'Azione Cattolica. Mi provai quindi a manifestare questa mia convinzione desiderosissimo di rimuovere la causa di sì funesta sterilità, ma mi parve che pochi mi volessero dare ascolto, ed i più avessero invece una specie di compatimento per me, quasi che io non conoscessi le anime moderne e l’azione che deve spiegarsi ai giorni nostri dai cattolici. Avrei desiderato che su tale argomento vi fosse qualche libro per diffonderlo largamente, e dissipare con siffatto mezzo i pregiudizi che offuscano le menti, ma non ne conoscevo alcuno.

Gesù buono seppe rimediare a tutto, ed un bel giorno, per le mani di uno zelante Religioso della Società di Maria, mi fece capitare il libro che da tanto tempo sospiravo.
Io non sto a lodare il libro presente, perchè le cose belle come le cose buone, bisogna gustarle per apprezzarle convenientemente. Dirò soltanto che in Francia è giunto in breve alla settima edizione, e se ne sono già pubblicati 70.000 esemplari, e spero che in Italia sì diffonderà così da emulare anche in questo la Francia cattolica. Per conto mio, faccio voti che vada in mano a tutti i Parroci ed a tutti i Sacerdoti della mia Diocesi, nè manchi a nessuno di quelli che fanno parte delle Associazioni Cattoliche della Diocesi di Arezzo.

All’ardente ed umile solitario, che tra i rigori della troppa scrisse, pregando, questo libro, in cui si rispecchia al vivo il suo animo d’apostolo, conceda il Maestro Divino copiose benedizioni e quell’approvazione che Egli già fece sentire ad altri, i quali coi loro libri dettero a Lui gloria ed alle anime luce e pascolo salutare.
Arezzo, dall'Episcopato, 7 giugno 1918,
festa del Sacro Cuore di Gesù.

GIOVANNI VOLPI, Vescovo d'Arezzo

PARTE PRIMA - Dìo vuole le opere e la vita interiore
PARTE SECONDA - Unione della vita attiva e della vita interiore
PARTE TERZA - La vita attiva, pericolosa senza la vita interiore, con questa assicura il progresso nella virtù
PARTE QUARTA - Fecondità che deriva all'azione dalla vita interiore
PARTE QUINTA - Alcuni princìpi e avvisi per la vita interiore

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